Ulivo perplesso E Rifondazione dichiara guerra

Laura Cesaretti

da Roma

Ministri e capigruppo dell’Unione sono imbufaliti con Prodi e Padoa-Schioppa, con la loro fiducia e il loro maximendamento? «Io peggio», dice il presidente dei deputati di Rifondazione Gennaro Migliore. «Non sono fuori dalla grazia di Dio perché sono laico, ma domani (oggi, ndr) nella mia dichiarazione di voto sulla fiducia dirò chiaro che il governo deve mantenere gli impegni presi, e correggere il testo al Senato in molti punti». Punti fondamentali, «che vanno dalla scuola al Tfr»; che erano stati «concordati prima dalla maggioranza e poi con il governo, e che oggi abbiamo scoperto essere saltati in maniera spesso inspiegabile». Ma così «la sinergia tra esecutivo e Parlamento si rompe».
Il solitamente pacato e diplomatico Migliore stavolta parla fuori dai denti, e non è certo l’unico nella maggioranza. Dall’Ulivo ci vanno ancora più pesanti: «Il governo ha l’obbligo di rispettare gli impegni presi col Parlamento», avverte Dario Franceschini. Che ieri pomeriggio, quando finalmente è comparso il testo monstre del maxi emendamento su cui oggi si voterà la fiducia, ha avuto la «antipatica sorpresa» di scoprire che in molti casi «non si è tenuto conto delle priorità indicate in questo mese e mezzo dai nostri gruppi parlamentari». Non erano certo richieste «lobbistiche», bensì il frutto faticoso di «un accordo politico unanime» del centrosinistra, dove ognuno «aveva rinunciato a qualcosa» pur di portare a casa un risultato salvaguardando l’unità della maggioranza. Ma «evidentemente il Tesoro le ha interpretate come consigli e ha scelto in base alle sue necessità», dicono i Dl.
Verso il ministero dell’Economia sono partite a raffica le telefonate di protesta, e alla fine «Padoa-Schioppa era preoccupato», confidano dall’Ulivo. Telefonate non solo dei parlamentari dell’Unione, ma anche dei ministri rimasti insoddisfatti: Amato, Fioroni, Lanzillotta, Turco.
In Consiglio dei ministri, ieri mattina, già si erano fatti sentire contro il taglio dei loro fondi il vicepremier D’Alema e Fabio Mussi. Tanto che Prodi ha affidato a Enrico Letta il compito di provare a calmare le acque, assicurando che su alcuni punti nevralgici - come gli investimenti sulla sicurezza, che allarmano Amato perché «del pacchetto non è rimasto quasi niente», o sulla Difesa, che han causato la ribellione di Parisi - «il governo si impegna a modifiche del maxi emendamento, e cercherà di mantenere gli impegni assunti».
L’attenzione si sposta dunque su Palazzo Madama, prossima tappa della via crucis della Finanziaria. E i dirigenti parlamentari dell’Unione fanno sapere di aspettare al varco il governo. Perché, spiega uno di loro, «qui alla Camera il rapporto tra politici e tecnici si è seriamente incrinato», il Parlamento è stato «trattato come uno sfogatoio, e il nostro lavoro collegiale è stato ignorato, nonostante noi avessimo già ingoiato un sacco di rospi mantenendo lealmente la compattezza della maggioranza in aula».

Ora bisogna «recuperare» al Senato, e se il governo non lo farà «la ferita che si è prodotta potrebbe anche non rimarginarsi», avvertono ai piani alti dell’Ulivo. Un avvertimento che è mirato sul «tecnico» Padoa-Schioppa, ma che investe direttamente anche il premier.

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