Ultimatum di Palazzo Marino: «Il Leonka rinneghi il passato»

Sgombero rinviato di altri tre mesi De Corato vuole tutto a norma di legge e un mea culpa per le violenze Il centro sociale: è soltanto una scusa

Un muro divide il centro sociale Leoncavallo dal Comune. Un muro fisico (oggi il messo comunale consegnerà agli autonomi il rinvio di tre mesi dell’ingiunzione di sgombero), sia metaforico: il macigno della storia. Una storia fatta di violenza, guerriglie urbane e occupazioni abusive. Il passato del centro sociale Leoncavallo. Gli inquilini di via Watteau hanno sì voltato le spalle alla pesante eredità di «Lotta sociale» che si portano dietro dal 1976, dalla prima occupazione di via Leoncavallo, ma non in maniera sufficiente. Il vicesindaco Riccardo De Corato e l’assessore ai Giovani e tempo libero Giovanni Terzi, incaricato dal sindaco di risolvere lo spinossissimo affaire, pretendono una presa di posizione netta, «senza se e senza ma» per poter benedire il percorso di legalizzazione, voluto da entrambe le parti. «Il Leoncavallo - chiede De Corato - affigga in tutta la città manifesti in cui scriva “Il Leoncavallo ripudia la violenza come forma di lotta politica”, poi in un’assemblea pubblica allo spazio autogestito, in presenza del sindaco e di tutta la cittadinanza, ribadisca il proprio impegno con la città. Questa è la premessa ad ogni dialogo». Gli fa eco Giovanni Terzi: «Il Leoncavallo non ha soddisfatto nessuna delle richieste fatte dal Comune. La mia linea è semplice: ho sempre detto che servono delle regole per poter sanare, e loro le regole non se le sono date. A partire dal ripudio pubblico della violenza, senza il quale non c’è nessun dialogo. Se va avanti così mi vedrò costretto a chiedere lo sgombero».
Ma gli autonomi non ci stanno e già si vedono scorrere davanti agli occhi un film visto dieci anni fa: «Anche nel 1997 - denuncia Daniele Farina, storico portavoce del centro sociale - successe la stessa cosa: davanti al presidente della fondazione Cariplo, Guzzetti, che si dichiarava disposto a collaborare, il Comune, che non ne voleva sapere, tirò fuori dal cilindro la questione del passato e della lotta sociale. Adesso stanno facendo la stessa identica cosa. Noi abbiamo costituito la Fondazione, necessaria per poter stipulare un contratto di affitto regolare con la proprietà, nel 2004, e siamo disponibili a pagare l’affitto, che per altro è già pattuito intorno ai 100mila euro l’anno, e a battere tutti gli scontrini, manca solo l’avallo politico del Comune». Margherita, attivista di via Watteau, rilancia: «Da qualche anno stiamo portando avanti, in modo sempre più chiaro, la parola d’ordine della non violenza. Facendo parte della delegazione della sinistra europea abbiamo, inoltre, firmato un documento in cui rifiutiamo la violenza come strumento politico e a Palazzo Marino dovrebbero saperlo. Il Comune si assuma le sue responsabilità. Evidentemente il problema è tutto interno alla maggioranza».
Copione che da oltre un anno, da quando cioè il sindaco ha espresso la volontà di chiudere la vicenda, si ripete uguale di tre mesi in tre mesi, anche se sembra che la volontà di giungere a un epilogo sia forte, da entrambe le parti. Oggi, in via Watteau, non arriveranno i blindati delle forze dell’ordine e probabilmente non arriveranno mai.

Certo, qualcuno dovrà fare un passo indietro, forse mezzo, per mettere la parola fine a un tormentone cui Milano assiste da trent’anni. Una prova? Il centro sociale farà i lavori di ristrutturazione dello stabile (spesa preventivata 109mila euro) con i 43mila euro di attivo frutto delle attività del 2006.

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