Il cambio alla guida di Unicredit si preannuncia molto delicato per gli azionisti. Gli investitori hanno chiaramente manifestato il loro scetticismo per l'incertezza sulla governance scaturita dalle dimissioni di Alessandro Profumo. Il titolo nelle ultime due sedute è stato il peggiore del listino cedendo complessivamente oltre il 6% e bruciando 2,3 miliardi di euro di capitalizzazione. Da Londra a Milano gli analisti delle case d'affari (Ubs, Centrosim, Cheuvreux, Kbf, Macquarie) fin dalle prime ore del mattino hanno voltato le spalle all'incertezza creatasi con il ribaltone al vertice, rivedendo al ribasso il giudizio sull'azione.
Le diverse bocciature riflettono tutte le incognite sulla gerenza del presidente Rampl che, anche se non durerà a lungo, arriva in un momento molto delicato per la riorganizzazione della banca e per le pressioni esterne sul settore. Non dimentichiamo che i rischi sui debiti di Paesi come Irlanda, Portogallo e Spagna sono tornati in primo piano creando non pochi problemi nei bilanci degli istituti. La diffidenza verso i titoli considerati «periferici» ha provocato un rialzo degli interessi e un calo dei prezzi che si fa sentire in pancia alle banche. È proprio questo uno dei motivi, insieme al debole contributo di bassi tassi di interesse, per cui le banche italiane da inizio anno hanno fatto peggio delle rivali (-6% circa per gli istituti europei, contro il -21% dei nostri istituti e di Unicredit). Ma al di là delle pressioni esogene, sono i dubbi sulla gestione operativa di Piazza Cordusio a lasciare perplessi.
Innanzitutto, la speranza di trovare la figura giusta per guidare l'istituto entro il cda del 30 settembre a Varsavia appare assai improbabile. Il presidente Rampl, che ha raccolto le deleghe dell'amministratore delegato, ha rassicurato in una lettera ai dipendenti che la selezione verrà portata avanti rapidamente e con grande cura. La ricerca non guarderà solo all'esterno, ma anche all'interno del gruppo. Esperienza internazionale, competenza finanziaria, flessibilità ad una realtà composita e sensibilità alle esigenze degli azionisti sono requisiti non facili da trovare, ma essenziali per prendere le redini di un gruppo presente in 22 Paesi, che trae il 55% degli utili dall'estero, e che deve relazionarsi con una serie di interlocutori dalle logiche territoriali estremamente diverse. Meglio poi se non avverso alla politica e con buone relazioni in Germania. Questa combinazione di caratteristiche restringe di molto la dozzina di nomi circolata nelle ultime ore, definite dal manager tedesco pura speculazione. E proprio per il difficile criterio di selezione, si potrebbe fare avanti l'ipotesi di una figura che possa anche non provenire direttamente da una banca. Si potrebbe sostanzialmente cercare una sorta di «Marchionne finanziario», visto che anche l'attuale numero uno del Lingotto non aveva alcuna esperienza nel mondo dell'auto prima di approdare a Torino.
Ma anche nel caso che si trovi un profilo adeguato in tempi celeri, non è poi detto che tutti i problemi siano risolti. Resta infatti, da capire l'approccio alle problematiche in corso. Diversi analisti sottolineano come i casi di avvicendamento spesso comportino una pulizia più severa in bilancio per ripartire con termini di paragone appropriati. Keefe Bruyette & Woods ha alzato le stime di crediti dubbi in bilancio di Unicredit per il 2010 da 7 miliardi con la precedente gestione di Alessandro Profumo, a 8,2 miliardi con un nuovo leader. Appaiono poi a rischio le sinergie di 300 milioni in termini di risparmio di costi dal progetto «BancOne» che pur andando avanti regolarmente, potrebbe tener da conto le critiche mosse al progetto da parte di alcune fondazioni azioniste, e attuare una stretta sulle spese meno incisiva venendo incontro alle richieste territoriali. Ci sono poi i rischi di scontri interni per la poltrona più ambita che potrebbe sfaldare la squadra.
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