Milano - Che fosse una giornata fortunata per Unicredit, si era intuito già a Piazza Affari. L’istituto di piazza Cordusio, infatti, aveva chiuso con un balzo dell’8,14%. Ma la buona notizia - forse una notizia ancora migliore, viste le necessità di ricapitalizzazione con cui sono alle prese molte banche italiane - è arriva dal tribunale del Riesame di Milano. Ieri, infatti, i giudici hanno disposto il dissequestro degli oltre 245 miloni di euro che poco più di un mese fa la Procura - nell’ambito dell’inchesta «Brontos» - aveva bloccato, ipotizzando una maxi frode fiscale.
Al momento è stato depositato solo il dispositivo della sentenza, e per le motivazioni bisognerà attendere i prossimi giorni. Ma, a questo punto, sembra che sia passata la linea dei legali di Unicredit, anche se resta da capire quale sia il nodo che ha spinto il Riesame a bocciare la pubblica accusa. Tre le ipotesi. La prima - la più verosimile - è che sia stato accolta la parte del ricorso della difesa, secondo cui non essendo indagata Unicredit in virtù della legge 231 (la responsabilità degli enti sui reati commessi dai propri dipendenti) non poteva essere disposto il sequestro ai danni della banca. La seconda è che sia passata la questione della competenza territoriale (gli avvocati, infatti, sostengono che la sede legale dell’istituto sia a Roma). La terza è di merito. Ovvero, il tribunale potrebbe essersi convinto della «correttezza dell’operato» di Unicredit, così come sostenuto dagli avvocati del gruppo bancario. Ad ogni modo, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo - titolare del fascicolo - insiste. E annuncia che farà ricorso in Cassazione.
Il colossale sequestro era caduto come un macigno su piazza Cordusio e sull’ex ad di Unicredit, Alessandro Profumo, iscritto nel registro degli indagati assieme ad altri 16 funzionari del gruppo, oltre a tre dipendenti di Barclays. Perché al centro dell’inchiesta ci sono alcune complesse operazioni finanziarie fatte proprio con Barclays, per far credere che Unicredit stesse investendo in contratti «pronto contro termine» su «strumenti partecipativi di capitale», quando invece si trattava di un investimento in un deposito bancario presso Barclays. Insomma, interessi travestiti da dividendi. Una dettaglio non da poco, visto il risparmio sulle imposte. La differenza tra le due operazioni, infatti, era sostanziale ai fini fiscali: mentre Unicredit avrebbe dovuto pagare le tasse sul 100% degli «interessi» di un deposito interbancario, in base alla normativa fiscale italiana ha pagato solo il 5% sui «dividendi» dell’operazione «pronti contro termine», deducibili per legge al 95%. Secondo Robledo, Unicredit avrebbe così sottratto al Fisco qualcosa come 745 milioni di euro di imponibile nelle dichiarazioni 2007 e 2008 di «Unicredit corporate banking» e «Unicredit banca spa», e in quella del 2008 di «Unicredit banca di Roma spa». Tradotto, un danno per l’Erario pari a 245 milioni di euro.
E in tutto questo, Profumo - il cui nome campeggiava in cima alla lista degli indagati, nell’avviso di conclusioni dell’inchiesta notificato il 26 ottobre scorso - avrebbe «approvato la realizzazione» delle operazioni finite nel mirino della Procura, «apponendo la propria sigla sulle richiesta di approvazione dell’investimento in strumenti partecipativi di capitale, emessi da società lussemburghesi del gruppo bancario Barclays».
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