Gli uomini di D'Alema all'ombra di Tarantini

I politici da Tedesco a Frisullo, i professionisti da Castellaneta a Intini: ecco gli uomini di Baffino in affari con l’indagato. Incontri documentati tra il "re delle protesi" e l'ex premier del Pd

Gli uomini di D'Alema  
all'ombra di Tarantini

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Ricapitoliamo. Un avvocato molto vicino a Massimo D’Alema, Salvatore Castellaneta, è stato indagato per prostituzione dai pm di Bari perché insieme al terribile Tarantini, avrebbe reclutato, fra le altre, la escort Patrizia D’Addario. Secondo l’ipotesi accusatoria il legale vicino a Baffino puntava a «beneficiare indirettamente dei vantaggi economici che il Tarantini, al quale erano legati da rapporti di affari, avrebbe conseguito attraverso l’aggiudicazione di commesse da parte della società (...) attraverso l’organizzazione delle serate provvedendo alla ricerca e alla selezione delle prostitute nonché alla verifica della loro disponibilità a prostituirsi». Una sorta di passepartout per arrivare al Cav, e da qui al grande business dei grandi gruppi industriali. Le società cui si fa cenno nell’avviso di conclusione delle indagini sono collegate a Finmeccanica, holding con la quale ha rapporti e tenta di fare affari - per il tramite dell’immancabile Tarantini che personalmente foraggia con una consulenza da 150mila euro - un certo Enrico Intini, imprenditore notissimo e vicinissimo a D’Alema.

Che a verbale ammette di aver parlato con un funzionario di Finmeccania, Metrangolo, pure lui destinatario di tre escort via Tarantini. Per la cronaca, e per far quadrare il cerchio, Intini spiega ai pm di aver incontrato Tarantini a settembre 2008 nello studio dell’amico avvocato Castellaneta.

E a proposito di quest’ultimo gli inquirenti fanno notare come, tramite Tarantini, in cambio di escort, «l’avvocato riusciva a ottenere l’incarico di presidente del collegio sindacale della Sistemi e Telematica Spa, società controllata dalla Elsag Datamat, a sua volta facente parte del gruppo Finmeccanica».
Ieri D’Alema ha annunciato di voler querelare il Giornale per le anticipazioni riportate con dovizia di particolari. Dopo qualche anno si è ricordato di dover smentire ciò che è stato sempre dato per acclarato, che Panorama ha rilanciato via web giovedì sera, che persino l’ecumenico Bruno Vespa riporta a pagina 48 del libro Donne di cuori, che il Corriere della sera insieme al Giornale ricordava ancora ieri, e cioè che quando parlò di «scossa» per Berlusconi – riuscendo a prevedere con tre giorni d’anticipo la scossa D’Addario – non era nella masseria dell’avvocato Castellaneta nel Salento bensì a Otranto, nell’agriturismo Terra Rossa. Preso atto della tardiva precisazione dell’ex leader dei Ds, che non smentisce il resto dell’articolo incentrato sui rapporti strettissimi tra Tarantini e i suoi uomini più fidati, andiamo all’amico scomodo di cui D’Alema non parla.

Giust’appunto, l’avvocato Castellaneta, indagato per aver sfruttato «l’attività di prostituzione esercitata a vantaggio di Berlusconi presso la sua residenza romana» non solo attraverso la D’Addario, ma anche di un’altra ragazza considerata «centrale» nell’ipotesi ventilata qua e là del complotto rilanciato a luglio dalla stessa D’Addario, ovvero Barbara Montereale, amica del cuore di Patty, celebre per aver rivelato le confidenze di Patrizia, aver scattato le fotografie della toilette dei bagni di Palazzo Grazioli nonché essere riuscita a farsi candidare per le Comunali del 2009, con la D’Addario, nella lista La Puglia prima di tutto, vicina al centrodestra.
Il dettaglio non è di poco conto. Seguiteci. Quando D’Alema annuncia la scossa siamo al 14 giugno 2009 (tre giorni dopo scoppierà lo scandalo D’Addario). A Bari si consuma una delicata contesa politica dove l’uscente sindaco Michele Emiliano, diventato dalemiano nel 2004 dopo aver indagato su D’Alema quand’era pm sin dal ’99 per l’inchiesta sulla missione Arcobaleno, se la gioca al ballottaggio. In quel periodo i rapporti fra alcuni importanti dalemiani e il «mostro» Tarantini sono strettissimi. Abbiamo detto di Intini (che conferma tutto a verbale).

Del vice di Vendola, Frisullo (amico personale di Gianpi, che ottiene scorciatoie per i suoi affari in cambio di escort, poi arrestato). Non abbiamo detto dell’ex assessore Alberto Tedesco (un tempo in società coi Tarantini, poi finito nell’inchiesta sulla malasanità) che si salva dall’arresto grazie al sacrificio dell’altro dalemiano Paolo Di Castro, che gli lascia lo scranno al Senato facendosi eleggere all’Europarlamento. Non abbiamo detto niente di Roberto De Santis, ombra del lìder Massimo, amico fraterno di Gianpi, presente agli incontri al ristorante e in barca fra Tarantini e D’Alema. Quel giorno, tra Gaeta, Ventotene e Ponza, Tarantini è sul battello dell’imprenditore barese Francesco Maldarizzi, amicissimo di D’Alema che è in rada a bordo del suo Ikarus.

Tra gli invitati c’è anche Giuseppe Fortunato, dalemiano, di lì a poco rappresentante di Finmeccanica a Mosca. D’Alema e Tarantini si incrociano al ristorante il Tramonto. Non sappiamo se i due si parlano. D’Alema giura di no. Come giura di non essersi accorto dell’amico dei suoi più stretti amici in occasione della cena elettorale al ristorante la Pignata di Bari il 28 marzo 2008, pagata da Tarantini e organizzata dal dalemiano Michele Mazzarano, coinvolto in un’inchiesta collegata a Gianpi. Oltre a D’Alema, c’è anche il sindaco Emiliano. Entrambi giurano di essere stati pochi minuti. «Portai via D’Alema non appena trovai nel locale Tarantini» rivela Emiliano, che su Gianpi indagò quand’era pm.

Tarantini la racconta in un altro modo: «La cena l’ho offerta io, e tutti nel partito ne erano a conoscenza, compreso il sindaco Emiliano che ha partecipato a tutta la cena andando via solo alla fine». E D’Alema sapeva? «D’Alema sapeva perfettamente chi ero io e tutti nel partito ne erano a conoscenza anche perché, uno dei suoi amici più cari, De Santis, è uno dei suoi più stretti collaboratori”.
A essere disonesti uno dovrebbe pensare a chissà cosa leggendo la recente intercettazione tra Tarantini e Lavitola nella quale il primo racconta non solo che «a 30 anni ero a cena con Berlusconi» ma che «a 20 andavo in barca con D’Alema». Così come si potrebbe fare dietrologia spicciola su ciò che ruota intorno al presunto complotto denunciato a luglio dalla D’Addario (e sul quale indaga la procura): «Mi hanno obbligata a consegnare le cassette con le registrazioni, così come sono stata costretta a dichiarare di essere una escort – ha dichiarato a Libero - mi venne imposto di rilasciare decine e decine di interviste, a cominciare da quella concordata dal mio avvocato con il Corriere, per fare esplodere lo scandalo». L’avvocato in questione - che ha smentito tutto e rimesso il mandato - è Maria Pia Vigilante, vecchia amica dell’ex pm Alberto Maritati che dopo aver indagato sui finanziamenti illeciti a D’Alema da parte del re delle cliniche Cavallari (finanziamenti ammessi da D’Alema, reato cancellato perché coperto da amnistia) chiese il proscioglimento dell’indagato e anni dopo è diventato senatore e sottosegretario al governo D’Alema.

L’avvocato per come è stato ripetutamente scritto (anche da Vespa), è molto amica della caporedattrice del dorso barese del Corriere sospettata di aver avuto un ruolo decisivo nella pubblicazione dei verbali di Tarantini e Berlusconi che solo la procura barese, e la Gdf, potevano avere.

Nell’indagine sulla fuga di notizie, più precisamente nell’ultima perizia tecnica, è finito proprio il pm Scelsi, ex titolare dell’inchiesta, che poi accuserà Laudati d’aver insabbiato le intercettazioni. O meglio è finito il suo pc, rimasto acceso e senza password, dal quale sono stati estratti i verbali top secret. Per la fuoriuscita è stato però incolpato un tecnico informatico, non dalemiano.

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