Il Giornale del Cavallo

Uomo e cavallo amici

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovo a parlare del rapporto fra uomo e cavallo o meglio, del mio rapporto col cavallo

Uomo e cavallo amici

Tutto ebbe inizio più o meno un quarto di secolo fa, neanche ricordo come. Ero il solito bambino di dieci anni che chiedeva a mamma di poter andare a cavallo. Da lì fu tutto un crescendo di passione che mi portò a fare del cavallo, addirittura la mia professione! In mezzo ci sono stati fra i più begli anni della mia vita e quello che preminentemente e prepotentemente ricordo di essi, è che il cavallo è stato tutto per me, non solo amico ma anche conforto, sicurezza, finanche maestro.
Quando finivo una giornata di scuola e finiti i c***o di compiti, correvo, volavo dal mio Artax e ci facevamo la solita ora in campagna, con la luce o col buio invernale, e lui era anche i miei occhi, con la nebbia, la neve o la calura estiva coi suoi moschini e le zanzare, vere padrone delle mie strade fra le risaie. Per me, adolescente completamente asociale, incapace di interagire con ragazzi e ragazze, era, la mia amicizia col cavallo, quasi necessaria. Mi fidavo ciecamente di lui, così lui di me e per entrambi era uno spasso e uno sfogo importante, correre nei pioppeti e nei campi tagliati.
E mentre Tiresia all’ora violetta era chino sulla sua scrivania, io mi godevo il tramonto sulle ali invisibili del mio pegaso meraviglioso…
Ero letteralmente malato di cavalli, erano la mia vita, mi davano musica e colore. Ora nondimeno mio figlio da’ musica e colore alla mia vita, mentre il mio Artax vecchio malandato sta qui nel prato e ogni tanto porta il mio Federico. La mia vita non avrebbe potuto continuare a galoppare fra le risaie, è normale. Ormai i miei attrezzi da maniscalco prendono molta polvere fra le rare, sporadiche ferrature che mi tocca fare. Senza parlare poi del fatto che neanche come veterinario vedo molti cavalli: faccio più piccoli animali.
In definitiva, la mia vita si è un po’ discostata dal mondo equestre e se non so come andrà a finire, di sicuro so che in nessun altro modo avrebbe potuto cominciare se non sulla sella di un cavallo.

Amavo le passeggiate durante le quali scrutavo la campagna, bevevo il sole, riflettevo, cantavo, mi rilassavo, coccolavo il mio destriero che tutto soddisfatto giocava con l’imboccatura facendola tintinnare… ci capivamo!
Non ho mai amato le competizioni, i concorsi, le gare equestri di ogni genere. Di queste cose apprezzo al massimo l’affiatamento del binomio e il cuore generoso del cavallo, ma queste stesse cose esistevano nel mio rapporto con Artax, più “lento” e semplice. Insomma togli tutto, togli la campagna, il relax, il sole… considera solo ed unicamente il rapporto uomo cavallo. Lo chiamano binomio. Chi se ne frega di come lo chiamano, chi non ha avuto un amico cavallo non sa cosa io intenda. E’ un po’ come avere un cane, ma non proprio. Non è neanche come avere un cane e una moto insieme. Non è la monta inglese, né quella americana, né quella da lavoro. Non è coercizione ma neanche Monty Roberts, Pat Parelli né Mario Rossi.
Lui, quella biomassa muscolosa di cinquecento e rotti chili, si mette al tuo servizio e sopporta le tue speronate, lui che ti guarda con i suoi occhi meravigliosamente buoni. In linea di massima è proprio così e ti rende forte, infinitamente.
Si lascia fare qualunque angheria, sopporta un sacco di cose, da’ tutto ed è antropologicamente incapace di pretendere un prezzo, c’è chi dice sia profondamente stupido. Ma chi è stato amico di un cavallo sa per certo che non è così. Gioca, ti prende a musate, colpi leggerissimi per la sua forza, ti prende in giro quando cerchi di pulirgli i piedi (lo fa’ apposta se non l’avevi capito).
Sa sempre come tirarti su il morale.
Ti cerca. Ti aspetta.

Non ho voglia di descrivere l’amicizia uomo cavallo in modo “scientifico”, credo siano molto più significativi gli esempi che ho raccontato. Da quando frequento gli animali, sono convinto che siano loro i veri custodi dei segreti del mondo, mi ispiro a loro e non certo a Schopenhauer o kirkegaard, figli malati del loro tempo. Essi, senza bisogno di tante strutture astratte o pratiche, accettano necessariamente la vita per quello che è e nella loro inconsapevole e incosciente capacità di dare, incarnano lo spirito cristiano molto meglio di noi homines sapientes.
Ferrian Simone
Redazione www.

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