Tra urla e insulti va in scena il dramma del signor Rossi

Mentre la Finocchiaro grida "Vota!", l’ex Pdci rimane impassibile. Esce dall’Aula confuso "ma non pentito"

Tra urla e insulti va in scena il dramma del signor Rossi

Roma - «VOTA! VOTA! VOTA!». Arriva a deformarsi il volto di Anna Finocchiaro che, le mani aperte davanti alla bocca, quasi implora Ferdinando Rossi. Il capogruppo dell’Ulivo sale verso l’ultima fila dell’emiciclo, dove siede il senatore dissidente del Pdci. E in quel minuto scarso in cui Franco Marini tiene aperta la votazione urla con tutto il fiato che ha in gola. Perché al di là dell’inconsueto prolungarsi delle operazioni di voto, con tutto il centrodestra a sbracciarsi in proteste, è dal tabellone luminoso che i più attenti colgono i primi segnali dell’imminente débâcle. A Palazzo Madama, infatti, l’astensione vale come voto contrario e oltre alle spie luminose dei senatori dell’Udc ce ne sono accese due di troppo, quelle di Giulio Andreotti e Sergio Pinifarina. Rossi, proprio per depotenziare la sua astensione decide invece di non infilare neanche la scheda, come fosse assente. E così resta lui, per trenta, quaranta interminabili secondi, l’unica speranza di salvare il salvabile. Uno psicodramma collettivo. Fatto di insulti e preghiere.
Rossi non si scompone e resta immobile sul suo scranno. La Finocchiaro continua a urlare («VOTA!»), mentre nei banchi sottostanti si scatena l’inferno. Luigi Zanda, vicecapogruppo dell’Ulivo, applaude ironico: «Bravo! Bravo! Complimenti!». «Sei un pezzo di merda!», gli fa eco educatamente Loredana De Petris, colpita per errore da una corposa rassegna stampa lanciata dai banchi dei Ds ed evidentemente destinata al «traditore». L’insulto più colorito è quello del palermitano Costantino Garraffa. «Adesso - urla il senatore dell’Ulivo - ci vieni tu a fare la campagna elettorale in Sicilia tra i mafiosi». Ma Rossi, in quel minuto scarso in cui Schifani e il resto del centrodestra imprecano contro il presidente del Senato che tiene aperta la votazione, si prende pure gli strali della Lega. Con Roberto Castelli e Roberto Calderoli, seduti a pochi metri da lui, che lo accusano di essere un «codardo». «Avevi detto che ti saresti astenuto, infila la scheda e vota l’astensione invece di dare una mano al governo fingendoti assente», grida il vicepresidente del Senato del Carroccio. Rossi tace, ma fa un gesto eloquente. E ritira le braccia verso il corpo per metterle sotto al banco, segnale definitivo del fatto che non voterà. Né l’astensione come chiede la Lega, né il «sì» che implorano la Finocchiario e il resto della maggioranza.
Anche Marini prende atto che non ci sono più margini e con le spie luminose delle astensioni di Andreotti e Pininfarina che illuminano i pallini rossi dei «no» di Forza Italia dichiara chiusa la votazione. «Quorum 160, 158 “sì”, 136 “no”, 24 astenuti». Boato dai banchi dell’opposizione, con il capogruppo dei Verdi-Pdci Manuela Palermi che schiuma rabbia. «Ha visto, stronzo!», dice rivolta a Rossi, che solo sei mesi fa ha abbandonato i Comunisti italiani per la Lista consumatori. Ma lui non fa una piega, solo silenzio. E un cenno del braccio - forse per chiedere a Marini la parola - poi ritratto immediatamente. Il «traditore» aspetta che i senatori defluiscano, prende la sua borsa e s’incammina.

Confuso, se appena lasciata l’Aula dice di non essere affatto pentito e di non essere disposto a votare neanche la fiducia al governo per poi ritrattare solo dopo qualche ora («questo è il mio governo, quando chiederà la fiducia al Senato la voterò»). Confuso anche perché in mattinata la Finocchiaro l’aveva messo in guardia numeri alla mano («guarda che il voto è a rischio»). La sua risposta Rossi difficilmente potrà dimenticarla: «Non ci credo, state bleffando».

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