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Per gli Usa il 41 bis è «tortura» Negata l’estradizione di un boss

da Roma

Il giudice californiano D.D. Sitgraves è preoccupato che in Italia il boss mafioso Rosario Gambino possa subire la «tortura» del carcere duro. Dice che il cosiddetto 41 bis viola le norme Onu. E dunque, nega l’estradizione all’affiliato al potente clan newyorkese dei Gambino, perché teme che in patria sarebbe «in pericolo di vita».
Una notizia «eclatante», reagisce il ministro della Giustizia Clemente Mastella, riservandosi di accertare i dettagli. «Francamente, che venga da un giudice di un Paese come gli Stati Uniti, che applica la pena di morte... Non so davvero se sia più in linea con le norme Onu chi applica la pena di morte o chi utilizza il carcere duro». Fa eco il presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione: «Da quale pulpito viene la predica... Il 41-bis ha superato tutte le prove, da quella di costituzionalità a quelle dell’Onu, fino alla corte europea dei diritti dell’uomo».
La motivazione con cui si respinge l’estradizione sembra, in effetti, stupefacente. Più spesso gli americani dicono no temendo la scarcerazione dei condannati o l’applicazione di misure troppo blande, grazie alla legge Gozzini. Stavolta, invece, si accusa l’Italia di applicare a detenuti pericolosi come i mafiosi un carcere disumano, una «coercizione» che per il magistrato di Los Angeles «non è da considerarsi collegata a nessuna sanzione legalmente imposta o punizione e quindi costituisce una tortura». E questo nel momento in cui gli Usa sono nel mirino della comunità internazionale per le leggi speciali antiterrorismo approvate dopo l’11 settembre e, soprattutto, per le violazioni dei diritti umani nel carcere di Guantanamo. Tante denunce di questi detenuti e di altri presunti terroristi nelle carceri Usa, si appellano alla convenzione dell’Onu contro la tortura. La stessa cui si riferisce il giudice Sitgraves parlando, però, dell’Italia. «Che il paragone con la tortura - dice Giuseppe Lumia, vicepresidente della Commissione Antimafia - arrivi da un Paese che gestisce le carceri di Guantanamo come tutto il mondo sa, mi sembra paradossale». Anche per il Verde Angelo Bonelli, la sentenza è «stupefacente» e il governo deve protestare con gli Usa.
La storia è quella del boss italoamericano Gambino, che ha già scontato in Usa 22 anni per traffico di droga e da un anno è passato dalla prigione federale al centro di detenzione per immigrati di San Pedro, in attesa dell’ordine di estradizione. Per l’avvocato di Gambino, naturalmente, la sentenza è corretta «al cento per cento corretta», ma l’Immigration and Customs Enforcement ha presentato un appello e bisognerà vedere come finisce la vicenda. «È una questione umanitaria - sostiene il giudice Sitgraves -: in questo caso particolare, queste condizioni di detenzioni minaccerebbero e comprometterebbero la vita del detenuto». Così, almeno, riferisce il Los Angeles Times, sottolineando che il boss fa parte di quella fortunata minoranza di detenuti, 578 lo scorso anno, per i quali i giudici hanno accolto il ricorso. Per altri 16mila lo hanno invece respinto.
«Ricordo - dice Mastella - che c’è una legittimazione del Parlamento italiano per il 41 bis. Guai, se fosse un carcere semplice e non duro: ci troveremmo di fronte agli “anelli di congiunzione” tra i vari boss. Avremmo anelli, collane e quant’altro. Cioè, ci troveremmo di fronte anche alla capacità di determinare malefatte pur restando all’interno del carcere». Si riferisce al traffico di pizzini e ai mille modi che, si scopre, i padrini della mafia hanno già escogitato per aggirare le regole d’isolamento e inviare ugualmente ordini fuori dalle prigioni. Questa, semmai, è la preoccupazione in Italia. Dove sono 529 i detenuti al 41 bis, introdotto nell’86 dalla legge Gozzini per rivolte e situazioni di emergenza ed esteso a mafiosi e terroristi nel ’92, dopo la strage di Capaci.

Il carcere duro, con la sospensione del normale trattamento dei detenuti, era un provvedimento temporaneo e rinnovabile ogni 3 anni, ma dal 2002 è permanente.

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