Cominciamo dal volteggio: 139 pagine di rapporto, firmato dal Dipartimento di Stato Usa. Tutte dedicate alla Cina: «Soffoca qualunque tipo di libertà di espressione, nega ai suoi cittadini i più elementari diritti umani, censura internet, arresta i blogger, sorveglia i giornalisti stranieri, se è il caso li intimidisce». Esercizi con le clavi: «Stritola la libertà religiosa nel Tibet buddista e nello Xinjiang musulmano, spedisce chi protesta ai lavori forzati, tortura i prigionieri con i peggiori strumenti partoriti dalla crudeltà umana, strappa confessioni per delitti mai commessi, li condanna preferibilmente senza processo. Ah, dimenticavamo ha il record mondiali di esecuzioni».
Preso nota? Bene, ora si va al triplo avvitamento acrobatico con salto mortale: «Quindi gli Stati Uniti cancellano la Cina dalla lista nera dei paesi che violano i diritti umani». Ci sarebbe da saltare in sella a un cavallo con maniglie e fuggire via. Invece si tratta delle nuova disciplina olimpica nata a cinque mesi dai Giochi di Pechino, una specie di salto triplo, con caduta verso il basso. Il rapporto pur ribadendo che «i dati complessivi sui diritti umani restano scarsi» regala alla Cina la qualificazione olimpica perchè «anche se non ha ancora avviato una riforma politica in senso democratico ha comunque sviluppato un cambiamento sociale ed economico».
Tra i più cattivi i primi dieci in classifica generale sono: Corea del Nord, Myanmar, Iran, Siria, Zimbabwe, Cuba, Bielorussia, Uzbekistan, Eritrea e Sudan. Uscita la Cina, sono entrate Siria, Uzbekistan e Sudan. Il documento del Dipartimento di Stato americano cita poi miglioramenti in Mauritania, Ghana, Marocco ed Haiti, piccoli progressi quasi nulli in Nepal, Georgia, Kirgizistan, Iraq, Afghanistan e Russia, e notevoli peggioramenti in Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka.
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