Usa, "classe operaia" lontana dai liberal

In Pennsylvania si è aperta fuori calendario la stagione della caccia. Al punto che è tornato di attualità un film di successo negli anni Settanta, una delle tante tragedie dei reduci dal Vietnam. Si chiamava The deer hunter, «Il cacciatore». Il protagonista era Robert De Niro, un cacciatore di cervi che proprio nell’ultimo fotogramma trae dalle sue esperienze una conclusione e non spara al bellissimo cervo che gli si è parato davanti nella foresta.

La Pennsylvania è piena di foreste e di cacciatori. Il cervo più famoso di questi giorni si chiama Barack Obama, che è nel mirino, fra gli altri, dei cacciatori. Gli altri sono la gente troppo «dedita alla religione e all’antipatia per le persone differenti». Sembrano tre categorie diverse, ma hanno reagito nello stesso modo: si sono sentiti tutti feriti o almeno snobbati da «quelli della élite». Provano risentimento nei confronti di Obama perché lo vedono, in sostanza, come un intellettuale che li guarda dall’alto in basso. C’è anche una definizione socioeconomica che li accomuna: vivono in aree rurali e sono bianchi. Su loro si appuntano, nel voto odierno, le ultime speranze di Hillary Clinton. Formano quella che in America si chiama la «working class», e che fino a qualche tempo fa in Europa passava sotto la definizione di «classe operaia». Che, non solo in Pennsylvania e non solo in America, si sta rivoltando contro la Sinistra, i «progressisti», i «liberal», che accusa proprio, fra l’altro, di essere «élitari». Lo ha confermato pochi giorni fa il voto per la Lega dei «colletti blu» del Nord Italia. Lo si era visto nelle elezioni presidenziali in Francia.
In America il fenomeno è molto più vecchio. Risale addirittura alle elezioni del 1972, quando i reduci dagli Anni Sessanta presero in pugno il Partito democratico e la maggioranza degli operai votò per il repubblicano Richard Nixon, che prevalse in 49 Stati su 50. Lo stesso risultato che nel 1984 avrebbe premiato Ronald Reagan, il conservatore per cui fu coniata l’espressione «Reagan democrat».

Nel frattempo erano successe molte cose: l’America era uscita sconfitta dal Vietnam, la Corte Suprema, allora dominata dai «liberal», aveva legalizzato l’aborto e tentato di proibire la pena di morte. I cacciatori non si identificavano più con i cervi, ma con i costumi dei propri padri: religiosità, senso identitario, gelosa difesa del «diritto di portare armi». E antipatia per le élite, soprattutto se domiciliate a San Francisco e dintorni. Una canzone dell’epoca suonava «I’m so proud to be an Okie from Muskogee», un piccolo centro dell’Oklahoma dove «si onora la bandiera, mica come quelli di San Francisco». E a San Francisco, sia destino o scelta malaccorta, Barack Obama ha pronunciato il suo giudizio sulla gente della provincia americana.

Potrebbe bastare a distruggere la sua candidatura? Non è probabile, nonostante che Hillary Clinton si sia aggrappata a quella gaffe con le unghie e con i denti, esibendo un populismo vero o finto, rivendicando - anche lei - un nonno che a quanto pare fece l’operaio in una fabbrica di Scranton, che si trova - ma che sorpresa - in Pennsylvania. E una ricerca universitaria rivela proprio in questi giorni una curiosa differenza di comportamento. Hanno offerto agli interpellati la scelta fra «quattro parole di quattro lettere che comincino con la d».

La gente di città, quelli della élite, i simpatizzanti di Obama, hanno optato per deed oppure debt, «azione» o «debito». Quelli di campagna, dal colletto blu e dal sangue rosso, preferiscono dead e deer, «morto» e «cervo».

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