Ferdinando Maffioli
È arrivato a metà conferenza stampa, inaspettato, sorprendente, spiazzante. Si stava parlando di lui, certo. Ma era un flagrante esercizio dillusione. Un tentativo di assemblare lindelebile arte di un uomo, un giornalista, uno scrittore, che non cessa - a quasi 35 anni dalla morte - di stupire e interessare in ogni parte del mondo. Poi, con uno scatto della fantasia (proprio quellinventiva di cui lui pareva avere il monopolio), lui è arrivato. I relatori in fila e i discorsi ordinati gli hanno ceduto il posto. La conferenza stampa è diventata, a sorpresa, tutta scena. E Buzzati è apparso, vestito delle sue parole, dei suoi racconti, dei suoi articoli.
Questo teatro improvvisato, pirandelliano, era una bella idea del regista Thomas Otto Zinzi per presentare la sua «Milano dei Tartari», un omaggio a Dino Buzzati a centanni dalla nascita, voluto da Progetto Telecom Italia e Fondazione Ippolito Nievo, in collaborazione con Almerina Buzzati.
Si tratta di una serie di otto elaborazioni drammaturgiche - basate su testi di Buzzati - che verranno messe in scena nei luoghi letterari vissuti e immaginati dallo scrittore, bellunese di nascita, ma adottato da Milano. Una città dove, come ha detto ieri Stefano Zecchi, assessore alla Cultura, «le persone divengono ciò che sono».
Oltre a Zecchi, a presentare «La Milano dei Tartari» cerano la vedova Almerina, Andrea Kerbaker, amministratore delegato di Progetto Italia, lo scrittore Stanislao Nievo e il regista Zinzi con tre bravi interpreti: Nicole Vignola, Claudia Campagnola (assistente ai testi e alla regia) e Marcello Cantoni.
Gli spettacoli si svolgeranno tutti in luoghi milanesi. Proprio Nievo, amico di Buzzati, ha ricordato la capacità dello scrittore di creare un mondo che stava «tra il fiabesco, l'infantile e l'assoluto» e ha sottolineato la volontà di «mostrare ai cittadini anche la realtà spirituale del luogo in cui vivono». Un'arte nella quale Dino eccelleva. Per questo amava Milano. Lo incuriosivano la nebbia, le luci delle case che si accendevano, le distese dei tetti da San Babila alla Bovisa, il grattacielo Pirelli, le persone che ridono e mangiano al ristorante. Gli piacevano i quartieri avvolti nel caldo torrido, i tram, il profumo della panetteria di via Cerva.
La città era vita ed era ispirazione: quando era alla ricerca di un'idea per un articolo spesso usciva in auto (con la moglie alla guida) per trovarla nelle pieghe della metropoli. E quando l'incontro è diventato recita, grazie agli attori che sedevano tra i giornalisti e a piccole, ben distillate dosi di testi «milanesi», la signora Almerina si è commossa, è riuscita solo a dire: «Sono passati tanti anni e si ricorda ancora Buzzati, Dino ha molti amici... ».
Gli incontri si terranno dal 15 maggio all'8 giugno. Il primo appuntamento è fissato nel cortile di Brera: in scena «Il reggimento parte all'alba». Qui ci sarà la partenza, lattesa, la guerra di quel «Deserto dei tartari» chera la metafora del lavoro nella «fortezza» di via Solferino: «Oggi sono entrato al Corriere - scriveva in un appunto, nel luglio 1928 -. Quando ne uscirò? Presto te lo dico io cacciato come un cane».
Poi toccherà alla Rotonda della Besana, dove sarà allestito «Un amore»; al Planetario, location perfetta per «L'uomo satellite»; al Pirellone per «Le piccole storie di un grattacielo», la Scala per «Paura alla Scala», il piazzale del Monumentale per «Piccola passeggiata», il museo di Storia naturale per «Rina Fort: un'ombra gira tra noi» e, infine, i Giardini Montanelli, l'8 giugno, con «Le gobbe nel giardino» che chiuderà la rassegna.
Naturalmente Buzzati non fu cacciato dal Corriere. E solo cinque mesi dopo, del dicembre 1928, annotava: «Ancora un mese di prova, forza Dino.
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