«Vado a Roma solo se indico il mio erede»

«Io non mi dimetto! Il posto da governatore della Lombardia è ottimamente occupato». Roberto Formigoni aveva reagito con stizza alle notizie rimbalzate dal vertice di Arcore di venerdì scorso con Silvio Berlusconi, quando la Lega ha tentato l’assalto alla Regione lasciando intendere che non avrebbe fatto prigionieri. Per non parlare dell’irritazione per il pressing di Roberto Calderoli, che spingeva per votare subito. «A noi va bene sia se va a Roma che se resta, però chiediamo una scelta senza ambiguità. È in gioco la dignità della Lombardia» faceva sapere il coordinatore del Carroccio.
Formigoni non ha ancora sciolto le riserve ma, come ripete da settimane o meglio ancora da sempre, non ha intenzione di andare in Parlamento a fare il peone. Chiede garanzie per sé, per la sua squadra e sul nome del suo erede al Pirellone: «Dirò anche io la mia sulla scelta del successore». Punta a «una posizione influente, di responsabilità, dalla quale poter innestare in Italia il sacro fuoco che ha arso in Lombardia durante questi anni».

Mariastella Gelmini, coordinatrice regionale di Forza Italia, non si sbilancia: «Certamente se decide di andare a Roma avrà un ruolo di prestigio. Quale è presto per dirlo». Ma la questione è proprio intendersi su quale sia un ruolo di prestigio. (...)

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