Il valdese triste sempre pronto a dire no

Il partito ha scelto l’opposizione dura. Vendola: «La storia del Prc finisce qui»

Si chiama come la marca della Nutella, ma di morbido ha poco. Paolo Ferrero è un duro, una tuta blu da bulloni e martello. Se ne erano accorti nel governo Prodi, dove l’allora ministro della Solidarietà sociale aveva litigato su droga, Pacs, clandestini, sfratti, guerra in Irak: la tuta blu della Fiat la usa ancora solo quando imbianca casa, ma il martello lo picchia sempre forte.
Eppure, con il colletto della camicia più diagonale di un Picasso, il sigaro appeso a una smorfia di dolente pessimismo gianduiotto e il dito incerottato da falegname distratto, Ferrero ha tutti i crismi per la parte del popolano «sfruttato malpagato calpestato». Di certo non ha il physique du rôle del trionfatore. Nemmeno oggi che Rifondazione comunista si affida alla sua linea.
Questione di educazione e di fede. Valdese. Altro che religione «oppio dei popoli». «La matrice evangelica viene prima della politica», ammetteva. Lui, nato nella Val Germanasca, tra cento anime che parlano dialetto patois e rappresentano le interiora più profonde del Piemonte (95% di favorevoli a divorzio e aborto). Lui, protestante che legge il Vangelo di Matteo: «Se vuoi essere perfetto, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo».
Ecco, Paolino ai poveri e ai lavoratori ci pensa davvero. Perché lui operaio in catena di montaggio lo è stato davvero, mentre gli altri si facevano belli nei quadri del Pci. In Democrazia proletaria a 17 anni, in cassa integrazione a 20 «grazie» all’allora segretario piemontese della Fiom Cgil Cesare Damiano (poi suo collega di governo), Ferrero non ha avuto il tempo di apprezzare il cachemire come il suo maestro Bertinotti. Lui stampava ciclostili con la stessa foga con cui da ministro ha poi partecipato ai cortei dei No-Tav e dei precari, dormendo in auto e facendo l’autostop. Anche perché il suo rapporto con il codice della strada è burrascoso, dopo i 14 punti persi per eccessi di velocità vari.
Insomma, a quasi 48 anni l’eretico Ferrero diventa il primo profeta del Prc. Una carriera partita dall’infanzia in terra nemica (a Villar Perosa, piena «Agnellilandia»), proseguita alla guida della Federazione giovani evangelici, decollata con il seggio di consigliere comunale a Torino e approdata al giuramento come ministro con tanto di spilletta della pace.

Lui, arrampicatore provetto e jazzista, con la pipa sbilenca e il borsello di finto bue che gli stropiccia la giacchetta, la cadenza che sa di bagnacauda e l’allergia alla cravatta, non sorride. Perché «una risata vi seppellirà», ma lui ha appena cominciato a divertirsi.

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