È una piccola storia quella che vi racconto oggi. Una storia che solo apparentemente centra con lo sport. Ma che in realtà è una parabola di vita in generale e speriamo sia il simbolo di una nuova stagione che vogliamo vedere in questa città e in questa regione.
Tutto nasce una decina di giorni fa quando, in un articolo sulla disamina dei mali della Sampdoria di questanno, ho chiamato in causa Gianfranco Bellotto, ex allenatore blucerchiato che a Venezia non faceva giocare un genio del calcio come Amantino Mancini.
Non ho cambiato idea su questo punto, anche se Bellotto mi ha spiegato che cerano alcuni motivi fondati per la sua scelta, ma riconosco che quel riferimento allex tecnico doriano era un po tirato per i capelli. Con gli errori di Garrone, Marotta e Novellino, il povero Bellotto centra come i cavoli a merenda.
Il giorno dopo, Bellotto mi ha chiamato, minacciando querele. Querele che, ovviamente, erano impossibili, visto che non si può querelare nessuno su un giudizio calcistico. Grazie al cielo, il pallone è una delle cose più opinabili del mondo. Lho spiegato al tecnico, che è una persona intelligente e lha ammesso senza problemi, tanto da recedere subito dalla sua idea.
Ma, querele o no, dalla conversazione con Bellotto è emersa una grandissima umanità, una voglia di confrontarsi che gli fa onore, una limpidezza di fondo che mi ha fatto scoprire una persona vera. Insomma - anche a partire da un mio facile giudizio, probabilmente troppo facile, e da un mio errore, almeno nellapproccio al tema e nella prosa tranchant e un po saputella - ho imparato per lennesima volta il valore del dialogo, del confronto, dellarricchimento reciproco. Anche con chi è diverso da me e anche con chi la pensa diversamente da me. Non posso dire che ora sono amico di Bellotto, la parola è troppo forte per essere usata a sproposito. Ma aver trovato una persona per bene con cui parlare è certo un successo, lennesimo. Ex malo bonum.
Ecco, al di là del caso Bellotto e persino al di là del caso Sampdoria, credo che un episodio minimo come quello che vi ho appena raccontato sia un esempio di come si possano affrontare i problemi. Anche e soprattutto in questa città, dove la maggior parte delle risorse - economiche e intellettuali - sono spese perchè vada male il proprio vicino, anzichè per far andare bene se stessi. È il peccato più grave che, a mio giudizio, nasce proprio dalla mancanza di dialogo, dal ragionare come monadi leibniziane, dal pensare di aver sempre ragione senza raccogliere il punto di vista degli altri.
Spesso, a Genova e in Liguria, in tutti i settori, dalla politica alleconomia - e stavolta lo sport non centra nulla - cè in giro gente che pontifica senza nemmeno sapere di cosa parla. Così, per dare aria alla bocca. Per questi poveretti è un doppio peccato: da un lato, perchè fanno figuracce gratuite; dallaltro perchè, se anzichè guardarsi allo specchio come la regina Grimilde chiedendosi chi è la più bella del reame, ascoltassero anche i pareri degli altri, forse potrebbero crescere un po. Magari nani sulle spalle dei giganti, anzichè nani e basta, come sono.
Insomma, se noi liguri capissimo un po di più il valore delle parole «confronto» e «dialogo» forse il nostro declino sarebbe un po meno irreversibile.
Allinizio dellarticolo, non volevo parlare di identità. Ma mi rendo conto di averlo fatto molto più del solito. Ringrazio una volta di più Gianfranco Bellotto.
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