Van de Sfroos, cantore popolare con la «Madunina» nel cuore

Chi ai suoi esordi pensava fosse il solito cantautore dialettale di grana grossa, del nord, magari di deriva leghista, ha dovuto fare marcia indietro. Davide Van de Sfroos s’è rivelato cantautore (e poeta) di grande saggezza popolare, in una strada in continua crescita tra i suoni (che spaziano dal folk al blues, dagli arrangiamenti elaborati al minimalismo) e i testi sempre più profondi e in equilibrio tra rabbia ed ironia, sarcasmo e introspezione.
Van de Sfroos, il cantore dei «laghèe», di Como e dintorni, è al tempo stesso personaggio di culto e musicista di grande successo. Non a caso pochi mesi fa ha completamente riempito il Datchforum; ovunque i suoi concerti fanno il tutto esaurito, come dimostra il tour teatrale che partirà stasera e domani (ore 21) dal teatro Smeraldo.
Ce ne ha messo di tempo a farsi conoscere (fossimo in America sarebbe un novello Bill Monroe, celebratissimo padre del bluegrass, o in Louisiana un eroe come Zachary Richard), prima suonando canzoni scombiccherate sulla corriera che lo portava da un paese all’altro del lago, poi in piccoli locali, passando via via dal Piccolo Teatro ai concerti internazionali. Il suo canto sgangherato ma caldo ed intenso («pensate che disastro se Neil Young cantasse con voce pulita e intonata»), il suo sound che vola alto tra generi e stili («da bambino ascoltavo Celentano e Nicola Di Bari; poi mi sono innamorato della profondità del blues di Robert Johnson, Son House e Charley Patton e infine dei cantautori maledetti come Tom Waits») creando un divertente e divertito miscuglio.
Difficile classificarlo, però piace e convince, e non solo al nord. Adesso poi, con lo splendido album «Pica!», la sua vena creativa è ulteriormente cresciuta. Accanto a brani su ritmi country piuttosto scanzonati come «La ballata del Cimino», racconta l’odissea dei minatori della Valtellina in «Pica!» e storie epiche da brivido e dai sapori celtici come «Il cavaliere senza morte». «Il costruttore di motoscafi» è la storia di un vero uomo tutto d’un pezzo, «New Orleans» è delicata e dedicata ai disastri dell’uragano Katrina.
Ma il pezzo che dà una nuova connotazione all’album è «40 pas», inno di redenzione che racconta la storia di tre giovani balordi di provincia che, usciti di galera, ritrovano la strada grazie alla Madonnina del Duomo. Questa vena spirituale lo ha reso anche protagonista di un concerto all’ultimo Meeting di Cl di Rimini, ma il cantautore rivendica continuamente la sua distanza da ogni movimento politico e la sua libertà, anche religiosa. «Non porto la bandiera e non mi faccio tirare per la giacchetta da nessuno. Credo nella spiritualità e nelle persone»; e poi, con un ghigno provocatorio conclude: «Non dico che la gente deve essere brava e buona a tutti i costi, ma neppure deve tirar sotto le vecchiette sulle strisce pedonali». Si considera «un pescatore di perle musicali», per questo ha assimilato radici lontane dalle sue come il blues e il country folk di Neil Young e Johnny Cash.

In scaletta, con la sua inseparabile band, proporrà le pagine dell’ultimo album ma anche i suoi successi che tutto il pubblico aspetta, come la mitica «I cauboi», come «I ann selvadegh del Francu» (versione dialettale della «Frank’s Wild Years» di Tom Waits) e quelli del penultimo cd «Akuadulza». «Non faccio fatica a scrivere canzoni, basta che mi guardi intorno qui dalle mie parti, tra personaggi da romanzo, contrabbandieri e grandi bevitori».

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