Vancouver I Giochi sono disfatti

È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo. Chiamatelo come volete. Primo dei perdenti, medaglia di legno, principe degli scalognati. In ogni gara, soprattutto alle Olimpiadi, c’è sempre uno sconfitto più sconfitto degli altri: il quarto arrivato. Per il secondo e il terzo, passata l’amarezza, resta sempre una medaglia. Per il quarto, nemmeno quella. È il primo dei battuti, quello che non entra negli annali, quello che al massimo può raccontare la volta che non arrivai sul podio per... Non c’è dubbio: tra un quarto e un quinto posto, sempre meglio arrivare dietro. Il rimpianto è meno pesante e la sconfitta scivola via più facilmente.
«L’importante è partecipare» insegnava De Coubertin. Ma la vera lezione a cinque cerchi è «partecipare e arrivare a un niente dal podio». Chiedetelo a Werner Heel, che ha perso il podio del SuperG per due centesimi. La sua medaglia olimpica resterà sempre lì: a sessanta centimetri. La vedi splendere, ma non riesci a coglierla, come un frutto proibito, come un sogno diventato incubo. Soluzioni non se ne trovano. Qualcuno in passato ha provato a ipotizzare medaglie fino al quinto posto. Certo, e poi chi glielo va a raccontare al sesto arrivato?
Il quarto posto è un destino crudele. La nazionale norvegese di pattinaggio di velocità ha perso la finale di consolazione per 55 centesimi. E questo ci sta. Poi però vai a vedere il tempo (3’40”50) e scopri che i norvegesi sono stati più veloci di quasi un secondo del Canada (3’41”37), che nella finale regina ha vinto il titolo olimpico. E allora ti chiedi: quanto vale quella medaglia, oro o legno? E qui hai voglia a spiegare che De Coubertin insegnava bla bla bla... A uno sconfitto che si è dimostrato addirittura più forte del primo c’è poco da dire. Restano solo sorrisi spenti e sguardi malinconici. È un quarto nobile, ma sempre quarto resta, in tutto il suo romanticismo, in tutta la sua drammaticità.
A Vancouver abbiamo conosciuto 86 nuovi campioni olimpici, non conosceremo mai gli 86 sconfitti a cinque cerchi. Tre le nazionali più scalognate: Usa, Russia, Austria e Germania hanno messo insieme 36 medaglie di legno, nove ciascuna. Poi Canada, Svezia e Svizzera, sette, Norvegia sei e quindi c’è l’Italia, con cinque quarti posti. La citazione è d’obbligo: Werner Heel (SuperG), Johanna Schnarf (Combinata), Christian Oberstolz e Patrick Gruber (Slittino), Arianna Follis, Marianna Longa, Silvia Rupil e Sabina Valbusa (Staffetta di fondo), Arianna Follis - ancora, sigh! - e Magda Genuin (Team sprint di fondo).
Guardi il medagliere (di legno) e pensi: dai, per fortuna ci sono nazioni più sfortunate di noi. Poi dai un’occhiata all’altro medagliere, quello vero, e scopri che tutte le nazioni che ci stanno davanti in sfortuna, hanno fatto incetta di titoli che valgono qualcosa.

Tolta l’Austria - che per la prima volta non ha preso neanche una medaglia nello sci alpino maschile - la loro non è stata per niente un’Olimpiade fallimentare. E la domanda è una soltanto: non è che Paperino abita in Italia?

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