"Il Vangelo di Giuda" dà voce all'apostolo del peccato irredimibile

Il regista Giulio Base: "Mi ha sempre intrigato questa figura così controversa e ingiudicabile"

"Il Vangelo di Giuda" dà voce all'apostolo del peccato irredimibile
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da Locarno

Chi non ha mai tradito abbassi il velo. Giuda di Giulio Base non scopre mai il volto. Non si mostra. Non apre bocca. Come a simboleggiare, con la sola figura del corpo, che esiste un frammento del fedifrago in ognuno di noi. Un destino da cui - come per il peccato - nessuno è esente. E in quel silenzio, frantumato da gesti, occhiate e comportamenti sta un pezzetto di noi e della nostra volubilità, di quell'egoismo che spinge verso le frontiere del proprio interesse anche quando il prezzo è dimenticare il rispetto per gli altri.

Il peggiore degli uomini e dei discepoli è un testimone mutilo. Tramanda il suo lato più commendevole e perde l'essenza del cristianesimo. È l'unico dei Dodici che non assiste alla resurrezione, ovvero alla vittoria sulla morte. Alla sconfitta del peccato. Al perdono eterno. All'essenza della nostra religione. E non è un caso se nella radice etimologica di traditore c'è il verbo latino trado, cioè consegnare, trasmettere, tramandare. Tre azioni connesse con quel bacio vigliacco da cui il suo autore non uscirà vivo e s'impiccherà poco dopo. Il Vangelo di Giuda di Giulio Base è la versione dell'Iscariota, la trama apocrifa che la Chiesa non ha diffuso, ricavata da testi profani come la Legenda aurea di Jacopo da Varazze che non dedica al più abietto dei seguaci di Gesù un capitolo personalizzato ma ne inserisce un riferimento nel cappello di un altro discepolo. O le sentenze. Dante lo manda all'inferno, papa Ratzinger lo bolla come imperdonabile perché "la sua colpa più grave fu la falsità che è il marchio del diavolo". L'assoluzione con riserva di Giuseppe Berto ne La gloria.

Il film, fuori concorso al Locarno festival, è stato fortemente voluto dal direttore artistico Giona Nazzaro che ha puntato su un'opera pregevolissima, dagli infiniti temi di riflessione e dagli schemi innovativi nella tecnica cinematografica. Le sequenze - girate in Calabria con l'ausilio della Film commission presieduta da Anton Giulio Grande - non sono caratterizzate dai dialoghi fra i personaggi e non ci sono stralci del Nuovo Testamento ma per l'intera durata del film (poco più di un'ora e mezza) si ascolta Giancarlo Giannini che dà voce al Giuda invisibile in un insistito ma affascinante monologo, raccontandosi in prima persona. Dalla nascita in un lupanare, figlio di una donna pubblica, al protettore della sorellastra, la Maddalena, che gli fece conoscere Gesù "il primo che mi trattò come un essere umano".

Dovrebbe arrivare in sala in autunno-inverno con un cast di tutto rispetto: Paz Vega (Maria), Rupert Everett (Caifa), John Savage (Giuseppe), Abel Ferrara (Erode), Vincenzo Galluzzo (Gesù), Vittorio Base (Giovanni), volti senza voce sui quali spicca un inimitabile Giuda-Giannini. Il grande merito del regista è evitare quello che gli uomini smaniano. Giudicare. "Ho fatto un passo indietro, fermandomi prima che Il Vangelo di Giuda diventasse il vangelo di Giulio Base. Mi ha sempre intrigato questa figura così controversa pure fra teologi e scrittori". Tra i pregi dell'opera l'onestà intellettuale di Base che ha inserito in coda una lunghissima bibliografia. "Era doveroso elencare i testi utilizzati, guai pensare che sia frutto di fantasia o casualità. Si può non essere d'accordo ma la base storiografica e letteraria è solida".

I timori sono tanti ma la fiducia è riposta nel coraggio. "A lavoro finito mi sono tremate le vene dei polsi. Troppe novità rischiano di non farsi capire ma per questo Vangelo ho avuto pareri positivi anche da vescovi e uomini di fede che ho consultato".

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