Milano - Il sostituto procuratore generale di Milano, Piero De
Petris, ha chiesto ai giudici della quarte corte d’appello la condanna a 10 anni e 4 mesi di reclusione per Vanna Marchi e per la figlia Stefania
Nobile, accusate di truffa e associazione per delinquere. Per Francesco Campana, ex compagno della Marchi, la pena richiesta è di quattro anni
e 19 giorni, mentre per il sedicente mago Mario Pacheco Do Nascimiento, il sostituto pg ha chiesto la condanna a 4 anni e due mesi di
reclusione.
In primo grado, nei due separati processi, la Marchi e la figlia erano state condannate in totale a 12 anni e sei mesi di reclusione, Campana a
cinque anni e sei mesi e Do Nascimiento a 4 anni e sei mesi. In appello i due procedimenti sono stati riuniti con il riconoscimento della
continuazione dei reati.
Secondo De Petris quattro dei sei episodi di truffa relativi al procedimento minore sono prescritti. Inoltre, il pg ha chiesto che venga cancellata
per tutti l’aggravante dei motivi abbietti e che l’aggravante del pericolo immaginario prospettato alle vittime sia esclusa per nove episodi in totale.
Oggi inizieranno a discutere le parti civili che proseguiranno il 7 marzo. Per il 18 marzo è prevista la discussione delle difese mentre il 27 marzo i
giudici potrebbero entrare in camera di consiglio.
La requisitoria Le truffe messe a segno da Vanna Marchi, dalla figlia Stefania Nobile, dall’ex compagno della Marchi, Francesco Campana, e dal sedicente mago Do Nascimiento, sono il frutto di una "grande intuizione imprenditoriale e delinquenziale" secondo il sostituto procuratore generale di Milano, Piero De Petris, che questa mattina ha iniziato la sua requisitoria del processo d’appello a carico dei quattro. "L’intuizione - ha spiegato il sostituto Pg - è stata quella di pensare che se si riesce a creare una struttura, come quella televisiva, per fare leva sulla credulità popolare, si può riuscire a truffare un numero enorme di persone".
Secondo De Petris, le apparizioni televisive della Marchi, di Stefania Nobile e del mago erano come "un’esca gettata in mare: si aspetta che il pesce abbocchi ed emerga per poi arpionarlo" ha affermato il rappresentante della pubblica accusa, spiegando che, dopo l’inganno generalizzato in tv, chi telefonava ai centralini delle società messe in piedi dal gruppo veniva "profilato individuando i suoi punti di fragilità. Poi partivano le chiamate e le minacce di pericoli immaginari. Le persone, in questo modo, venivano sempre più avviluppate e catturate".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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