Cultura e Spettacoli

La Vanoni (e le scuole) fanno gli auguri al Signor G

nostro inviato a Viareggio

C’è, eccome se c’è, un filo conduttore che da Ornella Vanoni corre nel nome di Gaber fino alle migliaia di studenti che assistono alle lezioni per conoscere meglio questo artista. È la sua inevitabile attualità, talvolta bruciante, talvolta dolorosa, talvolta esaltante. Gaber rinasce in continuazione e, oltre all’efficacia stilistica della scrittura, a farlo rivivere è proprio l’attualità che giorno dopo giorno conferma con compiaciuta rassegnazione le parole, le invettive, gli scenari che questo sghembo geniaccio ha scritto e disegnato nel cuore degli italiani. Ieri sera, lei che sul lungomare di Viareggio aveva appena passeggiato tra gli sguardi ammirati della gente, ha interpretato al Festival Teatro Canzone Gaber anche la sua Non insegnate ai bambini, «una canzone uscita appena dopo la sua morte, una lezione non ai piccoli ma ai loro genitori: parole che tutti dovrebbero ricordare perché valgono sempre», spiega. È stata come tutti si aspettavano, lei la diva più diva della nostra canzone, vivacissima a settantasei anni, la stella di questo Festival che da anni ogni estate riempie la Cittadella e che si è chiuso ieri dopo aver fatto come sempre il suo dovere: confermare che Gaber è il più attuale dei pensatori della canzone, un alveo intellettuale nel quale possono correre tutti a modo loro, un artista rock o uno pop o un non so, salvando le proprie caratteristiche ed esaltando allo stesso tempo quelle di Gaber. Per dire, sabato sera c’era gente in piedi ad applaudire l’esibizione della Pfm, mostruosamente inappuntabile anche dal punto di vista musicale, giusto dopo esser rimasta a bocca aperta davanti a Enrico Ruggeri, alla sempre più sorprendente Emma (ah, i luoghi comuni di chi la bocciava solo come prodotto della tv!) e poi a Cristiano De André che ha cantato Gaber con una voce che è sempre più vicina, meravigliosamente vicina a quella del padre. «Ecco, Fabrizio De André, forse anche per volontà della Fondazione voluta da Dori Ghezzi, si sta mitizzando, diventando un’icona ferma nel tempo. Gaber no, e forse anche questo è merito della Fondazione che porta il suo nome», dice la Vanoni. Gaber si rigenera e attira sempre nuovo pubblico. Lo dimostra anche la Lezione Spettacolo Il signor G - canzoni video letture per conoscere Giorgio Gaber che, condotta dal giornalista biografo Andrea Pedrinelli con l’allestimento teatrale di Fabrizio Visconti, ha già superato la centesima replica e i diecimila studenti spettatori nelle scuole d’Italia, seguendo anche la volontà del Ministro dell’Istruzione che in poche parole, qualche anno fa, ha detto ciò che in tantissimi già pensavano: Gaber si deve studiare a scuola. «Per me lui è sempre stato Gaberscik (il suo vero cognome - ndr), mi ispirava dolcezza quel cognome, e l’ho frequentato tantissimo, anzi frequentavo di più sua moglie Ombretta perché lui era sempre in giro», dice la Vanoni. «E avrei voluto anche fare un disco insieme ma lui era impegnato, non aveva tempo, era sempre perso dietro alle sue opere». Quando lo nomina e ne parla, la signora della canzone si emoziona, si illumina: «Mi diceva sempre: “Ornella, a me non piace parlare, a me piace scrivere”». Scrivendo, è entrato nella storia d’Italia. E il Signor G, che compie quarant’anni, è il manifesto del teatro canzone che tuttora rimane inimitabile perché con quella altalena di monologhi e brani, di pensieri e sberleffi e previsioni, si toccano vette liriche ed emotive che a pochi riesce di raggiungere. A nessuno, anzi.
Per ora, almeno.
«Giorgio era molto carino con tutti quei capelli» sorride la Vanoni. «Mi ricordo quando l’ho incontrato al tempo dei Due corsari, lui e Jannacci, si rideva a crepapelle. Giorgio prendeva in giro Enzo, diceva “questo a volte mi sembra un genio e a volte un pirla” e lo faceva con complicità affettuosa». Sul palco della Cittadella la Vanoni, presentata da Enzo Iacchetti, ha dato a Gaber il suo soffio di classe inimitabile, aggiungendosi allo strampalato istrionismo di J Ax, alla confusa voracità interpretativa di Marco Mengoni, a Daniele Silvestri e ad Andrea Mirò, delicatissima, tutti così distanti tra loro e, proprio perché distanti, capaci di confermare quanto Giorgio Gaber continui a rimanere vicino a noi. A tutti noi.

L’unico.

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