Il Wall Street Journal è sotto assedio: per ottenere il controllo di Dow Jones, casa madre del quotidiano finanziario americano, Rupert Murdoch ha buttato sul piatto 5 miliardi di dollari, pari al 65% in più del suo valore di Borsa. Ciò nonostante la famiglia Bancroft, che controlla il Wsj da oltre un secolo, ha annunciato la sua opposizione. Non so come andrà a finire, ma posso dirvi come ha reagito la Borsa: il titolo di Dow Jones è schizzato alle stelle mentre quelle di News Corp – il gigante di Murdoch – è andato giù. Vale a dire che gli analisti giudicano male un’ulteriore esposizione su media “vecchi”, un mercato in cui lo stesso editore del New York Times (a sua volta sotto assedio) non ha escluso la sparizione dell’edizione cartacea del quotidiano nel giro di pochi anni.
Ma allora com’è che i giornali di carta restano ancora tanto appetibili persino da uno come Murdoch, tanto attento al nuovo che avanza? La verità è che gli analisti hanno sempre la vista corta, non tanto perché sono miopi, ma perché guardano al breve termine. In realtà i più svegli tra questi “vecchi” media stanno cercando di capire come sfruttare in senso commerciale i contenuti generati dal basso in ambienti che possiamo chiamare social network, Web 2.0, blogsfera o come preferite, e che stanno sotto il cappello di marchi come Youtube, Flickr, Myspace e perché no anche Second Life. Murdoch sta lì, a cavallo tra il vecchio e il nuovo, e intanto macina progetti di integrazione.
Contenuti generati dal basso, già. Una ricerca di Accenture sui top manager dei principali gruppi media ed entertainment di Usa ed Europa mette in evidenza che la maggior parte di produttori ed editori guarda con preoccupazione al fenomeno in rapidissima evoluzione, ma anche che parecchi di loro vogliono riorganizzarsi per tempo. Il 68% degli intervistati dichiara che entro tre anni conta di far soldi attraverso i contenuti generati dagli utenti, il 62% prevede di utilizzare i “social media” per la pubblicità e la sponsorizzazione, ma solo un 20% punta a un modello di diffusione dei contenuti a pagamento.
I più illuminati si rendono conto insomma che il successo deve passare dall’integrazione tra le attività on line e quelle off line in un modello unico, specie nel campo dell’editoria e della pubblicità, mentre il modello commerciale di musica e video sta per passare molto in fretta da una logica di acquisto del prodotto a una di pagamento a consumo.
La morale di tutto questo? Non c’è.
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