La vedova Fortugno a processo per truffa

Alla prova di forza di sabato prossimo Bersani tiene moltissimo: l’intero staff nazionale del segretario Pd lavora notte e giorno per portare a Roma più gente possibile a manifestare contro il governo. Per il leader si tratta del battesimo del fuoco con la piazza. Anche se il rischio che sia un canto del cigno non è per nulla sventato.
La sorte del segretario è legata agli esiti della crisi di governo, di qui a qualche settimana. Una crisi da cui si può uscire, grosso modo, in quattro modi (e solo uno sarebbe buono per Bersani): con le elezioni anticipate, con un governo tecnico, con un governo di centrodestra senza Berlusconi o infine con un Berlusconi bis. Le elezioni atterriscono il Pd, che nei sondaggi viaggia a quota 24% e non ha sponde al centro. Senza contare il rischio-primarie e il ciclone Vendola (e se poi scendesse in campo pure Chiamparino, come medita, Bersani perderebbe pezzi pure a destra). Con un brutto risultato elettorale, la caccia al segretario si aprirebbe presto, e il ciclone bis Matteo Renzi si troverebbe la strada spianata. Ieri però nel quartier generale di Bersani si fregavano le mani, accendendo ceri al Cavaliere: la fuga di notizie sul pranzo ad Arcore tra il sindaco di Firenze e il premier, con tanto di apprezzamenti berlusconiani, ha innescato la rivolta della base dei “rottamatori” renziani, e rischia di appannare l’immagine innovativa del sindaco sul fianco sinistro.
Se mai si arrivasse a un governo tecnico, invece, Bersani potrebbe rafforzarsi. Ma l’ipotesi viene data in largo ribasso. Un governo di centrodestra senza Berlusconi (ma con l’Udc) sarebbe meglio di niente, e darebbe al Pd un paio d’anni per riorganizzare le fila, ma lo lascerebbe schiacciato a sinistra, costretto all’alleanza con Idv e Vendola, col rischio di sfaldamento ulteriore della componente ex Margherita, sempre più in ambasce all’idea di essere finita «ostaggio del Pci», come dicono i fioroniani. È di ieri la notizia del duo Milana-Milana (Guido e Riccardo, uno europarlamentare e l’altro senatore) che stanno trattando con Fini l’uscita dal Pd dopo essere finiti in netta minoranza al congresso di Roma. Illustri sconosciuti, ma con un pacchetto di voti e legami nell’area romana che possono far comodo a Fli alle prossime amministrative: con Riccardo, che ieri ha incontrato Fini, a fare il salto sarebbero infatti consiglieri del Campidoglio, della provincia di Roma e della Regione Lazio, più una cinquantina di dirigenti locali del Pd. Allarmanti poi le motivazioni dello scoramento di dirigenti come Roberto Giachetti, che non riconoscono più nell’attuale partito l’iniziale progetto riformista e innovativo. Infine, c’è l’ipotesi (che a sinistra cominciano a dare per probabile) di un Berlusconi bis, magari con l’Udc: per il segretario Pd e il suo asse Bindi-Franceschini sarebbe una bella batosta, dopo due mesi a ripetere che il Cav era defunto.

E ieri, alla vigilia della grande manifestazione (e del voto di fiducia) a Bersani è arrivato un segnale preoccupante dalle parti dalemiane. O almeno così tutti, nel Pd, hanno letto la dura bocciatura su tutta la linea del segretario da parte dell’ex direttore di Red tv, Francesco Cundari, pubblicata dal Foglio col titolo: «A Bersani manca un quid».

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