Veltroni fatto a polpette adesso fa tenerezza

Caro Granzotto, dopo la sua ultima uscita sulla tela strappata mi chiedo dove abbia la testa Walter Veltroni. Evidentemente doveva dare ascolto al proprio io interiore e mantenere la promessa fatta qualche tempo fa: abbandonare la politica e ritirarsi in Africa per insegnare a leggere e a scrivere ai bimbi delle tribù locali. È evidente che non è tagliato per fare il politico. Il suo successo da sindaco lo si è saputo ora a cosa è dovuto: all’indebitamento del comune di Roma per 8 o 10miliardi, non si è ben capito, per mettere in scena festival, sagre e notti bianche, portandolo al dissesto finanziario nonostante infliggesse a noi romani un’Ici da far paura. Come leader lo si vede, incapace di portare avanti il suo discorso e di compattare il Partito democratico oggi più diviso e litigioso che mai. Ma cosa aspetta a far fagotto?


Glielo dico subito, caro Bastianini: sto diventando, se già non lo sono, un veltroniano. Dunque, piano con gli sberleffi. Mi son fatto veltroniano perché non se ne può davvero più con questo tiro al piccione del povero Walter. Ecchediamine! Prima tutti lì ad adorarlo neanche fosse la Madonna di Pompei, a elevarlo a uomo della provvidenza, l’unico in grado di ridare alla sinistra quel nerbo, quella vitalità, quella grinta del bel tempo che fu. Il novello San Giorgio chiamato a infilzare, zacchete e zacchete, il drago Berlusconi. È ancora ben vivida nella memoria collettiva la trionfale ascesa al trono di Veltroni, ivi portato sull’onda, ma cosa dico onda, sul cavallone, sullo tsunami delle primarie. Le quali non possono che premiare il migliore, l’eccelso. Perché con le primarie è il popolo, non congressini o congressucci, non congiure di palazzo, non notti dei lunghi coltelli, è il popolo nella sua infinita saggezza - avanti o popolo! Alla riscossa! - a menare le danze. Sì, il fato ancora una volta s’era mostrato benigno con la sinistra, fornendogli - chiavi in mano - l’uomo giusto al posto giusto: lui, Walter Veltroni, il menestrello del «we can», dei sogni che non muoiono all’alba, l’uomo che, con mano ferma, indicava l’orizzonte di un futuro radioso, ecocompatibile, sostenibile, equo e solidale. Altro che balle.
E ora, di punto in bianco, gli stessi che lo portarono sugli scudi me lo vogliono ridurre a polpette? Una Rosy Bindi, dico una Rosy Bindi me lo vuole ridurre a polpette? Capisco che ci provi un D’Alema, da quando aveva i calzoni corti impegnato - inutilmente, occorre aggiungere - a tradurre la sua mostruosa intelligenza in una fucina di potere (oggi una banca, domani la segreteria del partito, dopodomani Palazzo Chigi e fra un po’ il Quirinale, hai visto mai). Ma Bindi e le truppe bindellate, che vaneggiano invocando il rimpatrio... mi vien male solo a scriverlo... di Romano Tutankamen Prodi, no. No e poi no. Con la scusa, poi, che è l’unico ad «aver battuto due volte Berlusconi» (e l’unico a farsi battere due volte da Berlusconi, a volerla dire per intera). Non come quella mezza cartuccia d’un Veltroni che manco il pareggio è riuscito a strappare. Lasciando la combriccola di sinistra a bocca asciutta, buona solo per riscaldare le panchine ai giardinetti.

E con tutti questi maramaldi, con tutti questi Gano di Magonza, questi avvoltoi che svolazzano attorno Veltroni, come non tifare per lui, caro Bastianini? Come non mandargli a dire: «Forza Walter, dai che ce la fai!». Insomma, «you can».

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