Una volta era solo potente e spregiudicato. Ora è anche assetato di vendetta. Quando all’inizio del 2000 l’allora presidente Mohammad Khatami sogna riforme e liberalizzazioni il generale Yahya Rahim Safavi è il primo a richiamare all’ordine i vertici della Repubblica Islamica.
«Scoveremo i controrivoluzionari e li decapiteremo. Taglieremo mani e lingua a chi mette a repentaglio la sicurezza nazionale. Non possiamo tollerare la libertà. Se i liberali occupano le università e spingono gli studenti a protestare... noi risponderemo con le spade», promette il comandante dei Guardiani della Rivoluzione rivolgendosi alla Marina dei Pasdaran, l’unità responsabile della cattura dei marinai britannici avvenuta dieci giorni fa.
Quando la Suprema Guida Alì Khamenei, la massima autorità politico-religiosa del Paese, lo richiama all’ordine i Pasdaran fanno quadrato intorno al comandante e mettono in guardia chiunque «osi contrapporsi ai Guardiani della Rivoluzione».
La via è segnata. Dal 2000 a oggi il non ancora cinquantenne Yahya Rahim Safavi usa i suoi 125mila uomini in divisa e gli undici milioni di volontari Basiji, la milizia controllata dai pasdaran, per esercitare il suo controllo su politica ed economia. E si trasforma nell’autentica «eminenza grigio verde» della potere iraniano.
Spedisce 80 dei suoi pretoriani a controllare altrettanti seggi del Parlamento, mette all’angolo l’ex presidente Alì Akbar Rafsanjani, fautore di pericolose aperture verso gli Stati Uniti, usa i voti di militari e basiji per consegnare la presidenza allo sconosciuto ex pasdaran Mahmoud Ahmadinejad. Ma alla fine dello scorso anno lo spregiudicato e potente generale Yahya Rahim Safavi si ritrova nel mirino dei servizi segreti occidentali, della Cia e del Mossad israeliano. Washington, gli alleati occidentali e gli israeliani lo considerano il vero ispiratore della politica di potenza iraniana in Irak, in Libano e nel campo del nucleare.
Mentre in patria il suo potere condiziona la sfida nucleare e la politica estera, sul fronte internazionale le cose si mettono di male in peggio. Il suo ruolo nella corsa all’arricchimento dell’uranio gli Procura la ferita personale più dolorosa. Quando, il 24 dicembre scorso, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite vota la prima raffica di sanzioni, il suo nome viene inserito nella lista di personalità per le quali viene chiesto il blocco di tutti gli assetti finanziari. Gli eventuali fondi all’estero riconducibili al suo nome vengono congelati e il generale si ritrova messo al bando dalla comunità internazionale.
Nei mesi successivi rovesci e batoste si susseguono. Il primo durissimo colpo è la cattura a gennaio dei cinque funzionari del consolato iraniano di Erbil, nel Kurdistan iracheno, identificati dagli americani come alti ufficiali della Brigata Gerusalemme, l’unità dei pasdaran responsabile di tutte le operazioni segrete all’estero. Verso il 20 gennaio, un’unità del Mossad infiltrata in Iran elimina lo scienziato Ardeshir Hassanpour, uno dei più importanti responsabili del progetto nucleare. Il 14 febbraio una bomba fa esplodere un pulmino dei pasdaran nella remota regione del Baluchistan uccidendo 14 militari. L’attentato viene rivendicato da un gruppo di fondamentalisti sunniti, ma i Guardiani della Rivoluzione non esitano ad accusare Washington.
Mentre si diffondono voci sull’attività di una misteriosa task force americana denominata ISog (Iran Syria policy and operations group), a Istanbul sparisce Alì Reza Asgari, l’ex vice ministro della Difesa iraniano, già capo della Brigata Gerusalemme, custode di innumerevoli segreti sulle attività clandestine dei pasdaran e sui progetti nucleari.
Nelle settimane successive Safavi registra anche la scomparsa sul fronte iracheno del colonnello Amir Muhammed Shirazi e di un terzo importantissimo collaboratore, forse il generale Muhammed Soltani, responsabile si dice di tutte le attività nel Golfo Persico.
La promessa si avvera in meno di due settimane, e ora Londra trema. Per riavere indietro i suoi uomini dovrà prima soddisfare la voglia di vendetta del generale più potente di Teheran.
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