RomaSe cè una Lega che arretra e ha il fiatone, ce nè unaltra che corre come un treno. Ovviamente bisogna spostarsi ad est, in Veneto, fortino indipendentista della Lega dura e autonomista. E nel cuore di questa terra ultraleghista, andare a Treviso, zona di influenza di Luca Zaia, governatore e trevigiano, dove, in un quadro critico per la Lega nord (che perde circa 30mila voti complessivi), ha sfondato il 57% (staccando il centrosinistra di 25punti) con il candidato uscente e subito rientrante alla Provincia di Treviso, Leonardo Muraro detto Mubarak. Ma laspetto che nel Carroccio fanno notare è lexploit di una lista civica, a sostegno di Muraro, nata come costola della Lega ma nello stesso tempo separata. Cioè «Razza Piave», una formula di leghismo identitario che ha avuto successo (e che aveva suscitato accuse di razzismo e un esposto alla procura della Repubblica), eccome se lha avuto, ottenendo al primo colpo l11,2 per cento, solo due punti in meno del Pdl (per il resto in Veneto è andata benino, ma non benissimo).
Lespediente di Razza Piave (nome che richiama gli eroi che fermarono col sangue lavanzata degli austriaci nel 18) è servito per smarcarsi sia dal Pdl (in molti comuni il Carroccio ha corso da sola) sia dalla stessa Lega «romanizzata», quella che sconta i compromessi di governo («stare al governo non paga» dice Zaia intervistato dal Gazzettino), la questione profughi, la guerra in Libia e tutto il resto. Una Lega dentro la Lega, sembra funzionare, e che qualcuno nel partito guarda come un interessante precedente. Se il mantra dei leghisti in questi giorni è stato «col Pdl andiamo giù, ma da soli andiamo bene», una lista ultraleghista non può che andare meglio.
Con qualche contraccolpo interno, perché subito dopo la sbornia di preferenze, lultraleghista Muraro (Lega ma Razza Piave) ha dato una scoppola al suo stesso partito, «che si è imborghesito un po troppo, rimanendo nelle sezioni a vivere sugli allori». Mentre «i militanti della nuova lista che ho costituito, Razza Piave, sono invece partiti da zero, hanno battuto il territorio casa per casa e hanno conquistato un grande risultato». Parole giudicate «ingiuste e inopportune» dai vertici locali della Lega, che poi, dopo aver consultato Bossi, hanno fatto partire la reazione. Per bocca del segretario nazionale della Liga veneta, Giampaolo Gobbo, che rifiuta «limmagine di una Lega fiacca», perché «non è vero che i nostri uomini non si sono impegnati nel loro lavoro...». Gobbo ha parlato con il capo leghista della questione Razza Piave e delle critiche alla Lega imborghesita, e - riferisce Gobbo sul Corriere del Veneto - «Bossi ha preso atto di una situazione dove evidentemente i partiti di governo non godono di un momento positivo». Quindi il capo prende atto, e non condanna poi più di tanto lesternazione ultraleghista, che probabilmente condivide.
Gli stessi toni di un altro ultras della zona, il prosindaco di Treviso Giancarlo Gentilini, che racconta la sua esperienza sul campo, sempre più ricorrente, cioè i tanti leghisti «che mi dicono: io non voto più Lega. Non do il voto ad altri ma non voterò mai più Lega. Che amarezza!». Motivo? La scelta del Carroccio di accodarsi ai «voli pindarici» di Berlusconi e del Pdl». «I leghisti duri e puri - spiega Gentilini - dicono è meglio andare da soli. Io penso che si possono fare degli apparentamenti, ma con lintesa che chi viene con noi deve prendere il Dna della Lega».
Questa è la linea che esce anche dallaltra sponda del Veneto leghista, quella veronese di Flavio Tosi. «Nelle comunali conta il candidato, e anche in Veneto abbiamo visto che col candidato nostro la coalizione va bene, col loro male» dice il leghista. Ma è anche vero che, se la lista fa meglio, poi divisi si perde, persino in Veneto. Si ripropone cioè, nellenclave più leghista dItalia, il paradosso che Bossi sta cercando di gestire a livello nazionale. Senza Berlusconi è più facile presentarsi davanti allelettorato leghista, ma poi si rischia di lasciare la vittoria alla coalizione di centrosinistra.
Vince il modello Liga veneta ma nella sua espressione più radicale (per quanto un voto comunale possa rappresentare una regione). Non è vero però, come scriveva la Padania, che il «Veneto ha il vento in poppa» e «in regione cresce ovunque il consenso». Problemi ci sono anche lì.
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