Venezia riabilita Tinto Brass "L’arte non può essere casta"

Il regista: "Lo diceva Picasso, condivido in pieno. E siccome io sono sempre uguale vuol dire che hanno cambiato idea gli altri"

Venezia riabilita Tinto Brass 
"L’arte non può essere casta"

nostro inviato a Venezia

Ad archiviare la nostalgia del ’68 alla Mostra e in laguna, ci ha pensato il 69 di Tinto Brass. Veneziano d’adozione, ma nato a Milano, di lui è nota la passione con cui filma il didietro femminile, ma nessuno può dire che lavori con il c. ossia che non conosca il mestiere. Il suo grido di battaglia è «meglio il sedere che il potere», ma ai teorici e alle teoriche del secondo consegna comunque un aureo precetto: «Non basta un bel culo per fare carriera se non c’è una mano che ti spinge avanti». Se il «grande sogno» di Michele Placido si reincarna oggi, per sua esplicita dichiarazione, «nel caso del direttore dell’Avvenire», il 68+1 di Tinto è nello slogan «Meglio Baffo che Boffo». Giorgio Baffo è il grande poeta erotico settecentesco venerato da Guillaume Apollinaire e a cui si deve la definizione di Venezia come «la mona d’Europa». Adesso che i dialetti vanno di moda, la traduzione diventa superflua.
Alla «Mostra d’arte cinematografica», come Brass ci tiene a chiamarla, il settantenne regista è tornato dopo quarant’anni e passa di ostracismo. Il direttore Marco Müller ha allestito quello che il festeggiato ha definito «un mini-omaggio»: due corti, Tempo libero e Tempo lavorativo, del 1964, Nerosubianco, il pamphlet sessual-surreale girato a Londra nel ’67 e che praticamente lo bandì dal Festival, e il nuovo Hôtel Courbet, un altro corto che rimanda nel titolo a quel quadro, L’origine du monde, in cui Gustave Courbet metteva la centro della tela il sesso femminile. Tinto lo mette al centro dello schermo, il sesso femminile, non il quadro: è quello della bella Caterina Varzi, avvocatessa, psicanalista junghiana e sua nuova musa ispiratrice, alla quale si deve il più lungo e più ravvicinato piacere manuale femminile mai filmato al di fuori dei «cosiddetti» film porno. Per Brass, del resto, il porno esiste solo nella testa di chi guarda e fa proprio un celebre detto di Picasso: «L’arte non è mai casta... Se lo è, non è arte».
È contento Tinto e non a caso Hôtel Courbet si chiude con le note struggenti e orgogliose di Je ne regrette rien cantata da Edith Piaf. «Sì, certo, non rinnego nulla, me ne frego del passato, guardo al futuro. Mi dispiace solo che non ci sia mia moglie Tinta a godersi questo, come dire, sdoganamento. Siccome io rimango sempre lo stesso, vuol dire che sono gli altri ad aver cambiato idea, ma non voglio fare polemiche. Diciamo che ci siamo rivalutati insieme e che sono contento».
«Anarchico», cantore del sesso come «liberazione e realizzazione di sé», Brass si dichiara «estraneo» al dibattito sessual-politico su cui l’Italia sembra essersi incagliata. «Siamo alla commedia dell’arte e rimango dell’idea che i versi dell’inferno dantesco, “Ahi serva Italia di dolore ostello / nave senza nocchiero in gran tempesta / non donna di provincia ma bordello”, siano sempre attuali. Le domande di Repubblica provengono da un gruppo di potere ben preciso che le usa come un’arma politica e contro di esse gli altri gruppi di potere reagiscono con la stessa moneta... Si scazzano fra loro, diciamo. Naturalmente, io non ho nulla contro feste, festini, ammucchiate eccetera... Vorrei solo meno ipocrisia, ma, si sa, il potere è ipocrita e si vergogna... Non capisco perché si faccia una legge contro la prostituzione e poi si ribattezzino le prostitute escort... In passato ho fatto film in cui sesso e politica si mischiavano: film storici, in costume, c’era Caligola, il nazismo... Certo, oggi potrei fare, che so, Grazie Papi, ma non credo potrebbe uscire con questo titolo... È anche un problema di tipi femminili, io sono per le donne che, come dicono i francesi, hanno “le demon du midi”, il diavolo del mezzogiorno, quell’età intorno ai quaranta in cui si teme di sfiorire e si moltiplica la voglia di piacere e del piacere».
Nell’attesa, è previsto un Borgia, «con la b in rosso e orgia in giallo», e i due corti che concluderanno il trittico cominciato con Hôtel Courbet: «Il primo si chiamerà Eja Eja Alalà, e racconta l’ultima notte di lussuria di Gabriele d'Annunzio prima di partire per l’impresa di Fiume.

Il secondo, Coiffeur pour dames, che non è il parrucchiere per signora in quanto tale, ma quello che acconcia i peli del pube femminile, atto estetico portatore di erotismo anche fra coniugi usurati dall’abitudine. Dopo la scomparsa di Tinta ero un po’ entrato in un tunnel. Adesso ne sono uscito». Dentro e fuori potrebbe essere il suo motto.

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