Ventisette matrimoni a New York in una stucchevole manfrina rosa

Che barba queste commediole sentimentali americane, stiracchiate, prevedibili, fatue e inesorabilmente uguali. Come il deprimente 27 volte in bianco, dove il malizioso titolo tradotto (l’originale il semplice 27 Dresses) vuol far intendere quel che non c’è. La storiella è stata scritta da Alish Brosh McKenna, la stessa sceneggiatrice di Il diavolo veste Prada, qui in chiaro stato confusionale, come del resto la sua socia Anne Fletcher, incautamente promossa da coreografa a regista.
A New York la bionda Jane (la cinguettante Katherine Heigl di Grey’s Anatomy) è la damigella più richiesta: lo provano i ventisette abiti da cerimonia che traboccano dall’armadio. La ragazza è capacissima di fare la spola tra Manhattan e Brooklyn per due matrimoni in contemporanea, ma è colta in flagrante dallo scafato cronista rosa Kevin (l’inebetito James Marsden), deciso a farne la protagonista di un lungo articolo sul suo vendutissimo periodico (!). Roba che nemmeno a Novella 2000. Il giovane perde la testa, senza sospettare che lei è stracotta del suo capo, l’organizzatore di eventi alla moda George (Edward Burns), pronto ad accendersi invece per la sua platinata sorellina, la vezzosa Tess (Malin Akerman), appena arrivata in città. Il destino ha però in serbo qualche, tiepida, sorpresa. Le due autrici, forse per evitare l’accusa di partigianeria, mettono sullo stesso piano i personaggi maschili e femminili: tutti ugualmente cretini.

Difficile comunque scegliere tra le due smorfiose, insopportabili primattrici, più disposte a cambiarsi d’abito che a mutare espressione. Soltanto uno dei più ridicoli giornalisti della storia del cinema può smaniare per sposarne una.

27 VOLTE IN BIANCO di Anne Fletcher (Usa, 2007) con Katherine Heigl, Edward Burns. 101 minuti

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