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Ventitré i deputati azzurri che hanno disertato il voto oltre a cinque astenuti

Che la luna di miele non potesse durare a lungo era palese sin dall’inizio. Dopo nemmeno quattro mesi dalla prima fiducia, il governo dei professori perde già molti colpi. E, infatti, di voto (sulla fiducia) in voto, da quell’ormai lontano 18 novembre 2011, l’esecutivo ha lasciato lungo le gradinate dell’aula sempre più consensi. Ieri, l’ennesima prova di disamoramento da parte degli azionisti di maggioranza del governo tecnico, si è avuta sul campo del decreto semplificazioni. La fiducia, per ora, regge e alla Camera, nonostante le tensioni nella maggioranza, Monti e i suoi hanno raccattato 479 sì (75 no e 7 astensioni), due in più rispetto all’ultimo voto di fiducia del 23 febbraio sul decreto legge milleproroghe, ma restano lontani un abisso dalla valanga dei 556 voti di novembre, in occasione della prima fiducia chiesta a Montecitorio, quando dalla loro parte avevano ancora l’Idv e il Pdl compatto. Da allora il governo non ha più superato quota 500.
Anche ieri, infatti, è nel Popolo della libertà che si è registrata la percentuale più alta di assenze. E i nomi sono per la maggior parte gli stessi che disertarono l’emiciclo anche all’ultimo voto di fiducia: 29 in tutto, di cui 6 in missione (tra cui Farina e Boniver) e 23 che non hanno proprio messo piede in aula (tra i quali lo stesso Berlusconi, Ghedini, Martino e Tremonti), più cinque astenuti. Alessandra Mussolini, coerente come sul milleproroghe, ha votato no.
Adesso il decreto legge passa all’esame del Senato, dove dovrà essere convertito in legge entro il 9 aprile. E non è escluso che Palazzo Madama debba mettere mano al testo, rivedendo innanzitutto il nuovo meccanismo votato dalle commissioni della Camera, che vede contrario il governo, per il fondo sulle spese impreviste. Sul tavolo anche le misure nel settore delle telecomunicazioni, che ora passeranno al vaglio di Bruxelles e che sono state denunciate dall’associazione europea degli operatori di telecomunicazioni (Etno) perché non coerenti con la normativa comunitaria.
L’unico a proferire parola subito dopo il voto di fiducia è stato il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, il quale ha detto che al Senato «c’è abbastanza tempo» per un esame approfondito del decreto: «Valuteremo le proposte emendative».

Il ministro ha espresso la sua soddisfazione per un testo «migliorato» in un «clima costruttivo» e non ha escluso che ci possano essere ulteriori novità a Palazzo Madama.

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