La vera satira intelligente? È in mano ai «Soliti idioti» di Mtv

Visto che, prima o poi, lì si andrebbe a parare, meglio dirlo subito. I soliti idioti stanno a Little Britain come Giampaolo Pazzini sta a Wayne Rooney; o la birra Menabrea alla birra Guinness; o Claudia Gerini a Kate Winslet. Ovvero come l’opportunismo cinico sta alla potenza dirompente; il gusto morbido a quello aggressivo; la bellezza dell’autoironia a quella dell’autocompiacimento. Insomma: come l’Italia sta all’Inghilterra, almeno in tema di comicità.
Gli sketch della terza serie de I soliti idioti vanno su Mtv. Come quelli di Little Britain (quest’anno no, ed è una vera tragedia). Gli interpreti principali sono due, Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio. Come due sono i mattatori del corrispettivo britannico, Matt Lucas e David Williams. Gag, battute, tic sono intinti nella crema amarognola della quotidianità. Al posto del pub di un villaggio gallese dove bazzica un gayssimo e presuntuosissimo ragazzone abbiamo visto il supermarket dove la componente femminile di una coppia di checche pretende di aver la precedenza alla cassa perché «incinta». Al posto di una beauty farm per orrende ciccione che vorrebbero pagare la retta in natura, offrendo le terga al direttore ecco una palestra con due pirla che si eccitano ascoltando le (dis)avventure erotiche di un collega di pirlaggine (Rocco Tanica). Al posto del numero 10 di Downing Street dove il primo ministro è tenuto sotto scacco dal gelosissimo segretario spunta la sala conferenze dove dalla bocca di una ministressa vamp con escrescenza di silicone sulla guancia zampillano doppi sensi da trivio. (Se ve li siete persi, potete rintracciarli in Rete).
Certo, anche nelle esibizioni di Mandelli e Biggio i tanti vizi e le poche virtù sessuali degli italiani la fanno da padroni. Ma i due dimostrano di saper andare ben oltre il lazzo saturnino. Per esempio nella parte dei bambini Niccolò e Gigetto i quali, uscendo di casa per andare a compiere le peggiori nefandezze (buttar giù un barbone dal cavalcavia, massacrare di botte una puttana...), ne informano i genitori del primo, e la mamma, per nulla allarmata, dice: «allora per favore compera un litro di latte»... Oppure dando realistico spessore al mite metallaro alle prese con l’invio di una raccomandata e puntualmente finito nel loop alienante dell’impiegata delle Poste la quale puntualmente si alza per fare altro. O trasformandosi in due preti desiderosi di svecchiare il linguaggio della Chiesa che propongono al papa di adottare slogan da stadio tipo «chi non salta il demonio è».
Nella nuova stagione ci sono alcune novità importanti. Come il mafioso Totò (Mandelli) che, al bar, discutendo con un ex picciotto rivendica il diritto di esserlo, almeno dopo il caffè. O, soprattutto, la triade risorgimentale Vittorio Emanuele II-Garibaldi-Cavour, protagonisti di una mini fiction mista, con la prima parte alla maniera del cinema muto in bianco e nero, contornati da formose pulzelle e la seconda parte che sfocia in un nuovo e irriverentissimo inno d’Italia. E nella puntata di questa sera (ore 22, ma poi avremo congrue repliche), esordisce Gianmarco Tognazzi nelle vesti di Giuseppe Verdi...
Ma il meglio del meglio, cioè del peggio, nella galleria dei nuovissimi mostri (e il riferimento ai film a episodi di Dino Risi del ’63 e di Risi-Monicelli-Scola del ’77 è voluto eccome) sono Ruggero De Ceglie e il figlio Gianluca.

Il babbo, decrepito, zoppicante, romanissimamente figlio di buona donna e animato da un vulcanico vitalismo senile, nel tentativo, in fondo commovente di educare a modo suo l’erede trentenne perfettino che vive ancora in casa con lui, gli fa passare un guaio dopo l’altro, per poi lasciarlo nella cacca e defilarsi vigliaccamente. «Dàicazzo Gianluca!!!», urla Ruggero-Mandelli ogni due per tre. Come a dire: svejete fijo mio, il mondo è dei furbi e degli sbruffoni. Il guaio è che ha ragione lui, ’tacci sua...

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