Verlaine: "I miei ospedali sono boulevard bianchi"

Il grande poeta Paul Verlaine ricorda con rabbia e nostalgia i suoi lunghi periodi da paziente (poco paziente)

Verlaine: "I miei ospedali sono boulevard bianchi"

Sarà nelle librerie dal 10 marzo il volume "Miseria nera" (Edizioni della Sera, pagg. 203, euro 14, cura e traduzione di Michela Landi) che comprende due raccolte di prose, inedite in italiano, di Paul Verlaine (Metz, 30 marzo 1844 - Parigi, 8 gennaio 1896). La prima raccolta da cui, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo due stralci, riguarda i frequenti ricoveri ospedalieri del poeta. La seconda raccolta è il resoconto di una vacanza di lavoro in Olanda, fra L’Aia, Leida e Amsterdam, dove l’autore di Poemi saturnini venne invitato nel novembre 1892 per una serie di conferenze.

Clic, clac! Le due vetture dell'amministrazione piene zeppe di «convalescenti» recuperati ai quattro punti cardinali dell'Assistenza pubblica (confidenzialmente A.P.) sbucano dalla strada che passa davanti al cancello d'onore, oltrepassano detto cancello, e vengono a deporre davanti alla porta dell'accettazione una trentina di degenti che, dopo le formalità di rito, iscrizione, visita sommaria del dottore, prima lettura del regolamento a cura del capitano (capo del personale di sorveglianza) si sparpagliano verso le camerate designate, portando sotto braccio gli effetti di vestiario in dotazione ad ogni convalescente: ossia un paio di calzini e di espadrillas, una camicia, un berretto da notte, un paltò a sacco blu di Prussia, un lenzuolo pure a sacco, stesso colore (siamo ai primi di maggio; la divisa estiva, paltò più leggero e cappello di paglia, parte dal 15 del mese), un asciugamano e un tovagliolo. Allora, mi direte, ogni convalescente dovrebbe aver di suo un paio di pantaloni? Caspita, sì.

«Galleria qualcosa, camerata tale!».

E il poeta entra in una stanza troppo lucidata per la sua «anchilosi incompleta del ginocchio sinistro, conseguente ad artrite reumatoide». Tre letti che i convalescenti devono rifare tutte le mattine secondo certi principi, come in caserma, dovendo anche spazzare e lucidare un parquet, ahimè! così scivoloso!

I compagni attuali del poeta sono il guardiano di un giardinetto pubblico, un tipo di poche parole, e un giovanissimo, di appena sedici anni, con una testa bionda da bellissima ragazza inglese, nobilitata però da una grazia già virile. Questi nota la difficoltà che ha il poeta a mettere la sua espadrilla sinistra, e si mette gentilmente a sua disposizione. Ma la campanella suona, si va a cena, entrata lenta al refettorio, buon pasto, meglio che all'ospedale comune, e anche il dessert, che gioia! Uscita in fila indiana sotto l'occhio un poco terrifico del sorvegliante preposto al refettorio, dopo una recitazione ad alta e intelligibile voce del sempiterno regolamento.

Passeggiata in giardino, una pipa o due, poi, per la prima giornata, tutta di fatica e di eccitazione, o quanto relativi! a letto e sonno discreto fino alle 6, ora della zuppa. Zuppa buonissima, che sembra d'essere alle Halles, parola d'onore!

La seconda giornata trascorre tra il gioco delle bocce, sito in un boschetto separato dal bosco grande da alcune palizzate, e la biblioteca, abbastanza ben fornita. Il poeta comincia qui la lettura della Storia della Restaurazione di Lamartine, dopo la doccia di vapore comandata semiquotidiana. Libro interessante sebbene e proprio perché misconosciuto e sconosciuto. Doccia divertente a dir poco.

La sera, ascesa alla sala di canto. Il giovane di prima canta le romanze con una voce delicata, intelligentemente modulata. Scendendo verso la camerata per la notte, gli vengono fatti i complimenti soprattutto dal poeta, a cui lui racconterà qualche giorno più tardi la sua storia penosa e fiera. (...)

***

Comunque, si fa decisamente nero il ricovero, malgrado il bel mese di giugno di cui godiamo, con tutta la vegetazione umida di pioggia che profuma e luccica di viva chiarezza. Sì, il ricovero si fa nero, malgrado un po' di filosofia, leggerezza e fierezza!

«Ci piacerebbe il pieno sole

E sotto i rami verdi delle querce»

(citazione da Chant des ouvriers di Pierre Dupont, ndr)

a noi, poeti, proprio come a loro, gli operai, nostri compagni di miseria e di «stanze». Evviva i puri lussi, e le donne, pure o no, e la vera vita viva, pura e impura!

In attesa, fratelli, artigiani dell'uno e dell'altro tipo, operai senz'opera e poeti... con editori, rassegniamoci, beviamo la nostra poco zuccherata tisana o questo coco, su, inghiottiamo da bravi chi la sua medicina, chi la sua lavanda, chi la sua ciofeca! Seguiamo bene le prescrizioni, obbediamo alle ingiunzioni, che dolci ci sembrino le iniezioni e soavi le deiezioni, e reprimiamo le obiezioni, pena le espulsioni: sempre dure, anche in questo mese di fiori e di fieno, di giorni tiepidi e di notti clementi, per quanto si possa esser squattrinati, coi debiti e la fame a casa. (...)

Sì, forse un giorno ci torneranno in mente come melodie del passato queste conversazioni da letto a letto, da parte a parte della sala, come: «Via, signori, un po' di silenzio, insomma! Qui non siamo alla Camera dei Deputati. Silenzio, 27, razza di galeotto incallito! Sono sempre gli abbonati che fanno più chiasso!», discussioni ben più che animate e tutt'altro che auliche. Torneranno i sonni interrotti da gridi di agonia, il vociferare di qualche alcolizzato, i risvegli con queste notizie: «Al 15 gli si è rotta la pipa. Hai sentito quel porco del 4? Alla faccia sua, quanto accidenti russa!» Ma più di ogni altra cosa ci tornerà in mente, ahimè! sotto forma di utile rimpianto, la calma sobria, la rigida sicurezza di questi luoghi di dolore, ovvio, ma anche di cure certe e pane per i nostri denti.

Forse, il giorno che la morte ci metterà alla prova, e che la malattia precorritrice e procacciatrice ci avrà febbricitanti e doloranti, magari miserevoli e solitari, li rivedremo, non senza una qualche tenerezza e una sorta di triste o quanto triste! gratitudine, questi vialoni di letti tutti bianchi, queste lunghe tende bianche, perché tutto è lungo e bianco, in un certo senso, in questi ricoveri...

Tutto bianco, meno che in quel giorno famoso di giugno, in cui stanco di tanta povertà (in via provvisoria, credetemi, perché ci sono così abituato, io, da cinque anni!), fui nel Ricovero con una grande R, idea atroce, evocatrice dell'indicibile sfortuna dell'ospedale moderno per il poeta moderno, che non può far altro, nei momenti di scoraggiamento, che trovarlo

nero come la morte e come la tomba, e come la croce tombale, e come l'assenza di carità, il vostro Ricovero moderno, tutto modernizzato come voi ve lo siete voluto, uomini di questo secolo di soldi, di fango, e di sputi!

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