Il vero elisir di lunga vita? Fare il capo dello Sato...

Ha ragione Andreotti: il potere non logora. I presidenti Usa campano molto di più della medua degli americani. Ma anche in Italia...

Il vero elisir di lunga vita?  Fare il capo dello Sato...

Secondo l’antico, volgare ma esplicito detto napoletano, «è meglio comandare che fottere». In termini più civili e sociologici: meglio avere una leadership sulla specie che riprodurre la specie.
Di che stiamo parlando? Di una curiosità, almeno in apparenza. Ma se si indaga si scopre che poi non si tratta di una cosa così superficiale. Negli Stati Uniti è uscito uno studio da cui si dimostra che i presidenti americani hanno avuto una vita molto più lunga di quella dei loro concittadini, a parità di epoca e di aspettativa.
Una coincidenza? Può essere. Ma potrebbe trattarsi di qualcos’altro: della naturale vocazione, specialmente nei maschi (ma non soltanto e non in tutti) ad essere capi. In natura i capi, i maschi Alfa, non soltanto dispongono di una vita migliore e più gratificante, ma svolgono un ruolo che mette in moto nel loro corpo tutte quelle sostanze - endorfine e ormoni - che agiscono da ponte fra corpo e anima, sicché alla fine il corpo trae i maggior vantaggi. La controprova è la depressione: chi è depresso per un sentimento, o una condizione naturale frustrante, rifiuta la vita o la logora accorciandola.
Il recente e amarissimo caso di Lucio Magri - un uomo benedetto da grandiose qualità fisiche e mentali, ma irrimediabilmente depresso - mostra con senso di pena quanto labile sia il confine interno fra sopravvivenza e longevità a prescindere dalle malattie.
Scuole di pensiero medico sostengono da anni una relazione profonda fra varie forme di cancro e depressione, come anche di relazione stretta fra vittoriose difese immunitarie e realizzazione personale. In inglese esiste una contrapposizione di termini particolarmente crudele che noi in genere non usiamo, fra losers e winners. I losers sono non soltanto i perdenti, ma quelli che non vinceranno mai e in una società competitiva la lunga vita non si addice a loro. I winners, i vincitori, al contrario, si nutrono di gratificazioni anche se presiedono le riunioni di condominio, un piccolo circolo, una comunità.
E in Italia? Siamo andati a curiosare fra le date dei nostri presidenti della Repubblica. Tutti longevi. D’accordo, da noi non si diventa presidenti a quarant’anni e dunque si sale al Quirinale già con i capelli bianchi e le maggiori probabilità di campare a lungo, perché si è già superata la prima grande scrematura. Ma i dati sono impressionanti.
Il primo presidente, benché provvisorio capo dello Stato, Enrico de Nicola, visse 82 anni nonostante fosse nato in un’epoca - la fine dell’Ottocento - in cui l’aspettativa di vita era di solo 35 anni. E così gli altri: Luigi Einaudi è morto a 87 anni, Giovanni Gronchi a 91, Antonio Segni a 81, Giuseppe Saragat a 90, Giovanni Leone a 93, Sandro Pertini a 94, Francesco Cossiga a 82, Oscar Luigi Scalfaro (auguri) è vivo e vegeto ed ha 93 anni, Carlo Azeglio Ciampi (auguri) ha 91 anni e sta benone, l’attuale nostro presidente Giorgio Napolitano ha 86 anni ed è come tutti vediamo un vulcano di vitalità.
Se fate la somma e dividete per il numero di presidenti, vedrete che l’età media per ora è di 88 anni e non è quella finale perché sono in corsa verso il centenario sia l’attuale presidente che due suoi predecessori. Se ci azzardiamo a dire che vivere al Quirinale allunga la vita, non forziamo dunque la realtà.
E allora? Ripetiamo la domanda: pura coincidenza? Suvvia. Se consideriamo lo studio americano di partenza, si vede che anche lì l’età media alla Casa Bianca è un trionfo e dunque fare l’ape regina, sia pure al maschile (ma avremo presto una casistica del genere anche per le donne, di loro natura più longeve dei maschi), porta molto bene, è molto meglio che prendere molte vitamine, andare in palestra e votarsi a una vita sana e igienica. Quando Winston Churchill, il primo ministro britannico che guidò e vinse la guerra contro Hitler e l'Asse, compì 90 anni, un reporter gli disse: «Lei beve una bottiglia di whisky al giorno e fuma quattro sigari cubani. Qual è dunque il segreto della sua longevità?».
«Lo sport», rispose Churchill scuotendo mezz’etto di cenere compatta dal suo cubano.
«Ah, immaginavo - disse il cronista - e qual è stato lo sport che ha praticato?»
«Nessuno», rispose Churchill.
Ma, come dice Andreotti, 92 anni compiuti, il politico italiano più longevo e meno sportivo del mondo, anche se messo a confronto con cariatidi del secolo scorso come l’albanese Enver Hoxa, Fidel Castro e Mao Zedong, «il potere logora chi non ce l’ha».
E questo spiega anche, da un punto di vista puramente biologico, perché sia una vocazione pressoché universale quella di arrivare ad avere potere, qualsiasi potere piccolo o grande, magari fra detenuti in una prigione, in una amicizia fra due persone, nella vita di coppia, in famiglia tra fratelli, sulla barca, in una gita, in classe, in qualsiasi posto di lavoro. E del resto, banale ricordarlo ma anche doveroso, le lotte di potere scatenano guerre e generano stragi in un regolamento di conti continuo la cui epitome è il tifo calcistico, l’investimento emotivo ed esistenziale che travolge generazioni di maschi (in prevalenza) che si scannano almeno verbalmente per la leadership nel campionato. Il campionato mondiale di calcio è così diventato la rappresentazione simbolica di una guerra mondiale sostenuta da regole che la rendono incruenta, ma le devastanti violenze negli stadi e intorno agli stadi mostrano con eloquenza il rapporto diretto fra voglia di vincere e voglia di battere gli avversari, distruggerli, eliminarli.
Tutto ciò è politicamente poco corretto perché mette in mostra anche aspetti poco nobili della natura umana e animale, ma sarebbe un male nascondere o negare la realtà perché questo impedirebbe di esercitare il controllo su tutto ciò che spinge verso la distruttività anziché verso la costruzione e il progresso. Costruzione e progresso sembrano vocazioni anch’esse di leader che hanno molto combattuto per raggiungere il potere (Alessandro, Cesare, Augusto, Carlo Magno, Napoleone) ma che una volta vinta la guerra hanno tentato di produrre progresso.

Gli antichi leader raramente morivano nel loro letto ma oggi chi sa usare una sana leadership può vedersi premiato da una longevità che secondo Calvino sarebbe una prova della benevolenza di Dio, ma forse ai tempi nostri piuttosto di quella degli elettori.

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