Marco Bocconi è titolare a Milano di uno studio creativo: dalla sua scrivania ogni giorno passano proposte, idee, progetti. Ogni marchio («brand», li chiama lui) ha la sua specifica esigenza comunicativa: un lavoro solo apparentemente facile, ma in realtà complicato da mille variabili.
La scelta del testimonial è un momento-chiave.
«Bisogna state attenti, perché la grandezza di un personaggio può rimpicciolire il prodotto».
Un esempio.
«Kate Moss...»
Che centra Kate Moss?
«Per capirlo basta sfogliare una qualsiasi rivista patinata. Kate Moss è contemporaneamente testimonial di almeno una decina di brand: abbigliamento, cosmetica, accessori moda...».
E questo cosa significa?
«Ciò equivale allazzeramento della visibilità del prodotto pubblicizzato. Tutti guardano la modella, e il marchio finisce nel dimenticatoio».
Possibile che le aziende non si accorgano di questo effetto autolesionistico?
«Il problema è nellassoluta crisi di creatività da parte dei creativi».
Insomma, colpa della categoria a cui appartiene anche lei.
«È così. Ma anche le aziende che commissionano le campagne pubblicitarie hanno grosse responsabilità».
Quali?
«La mancanza di coraggio».
Nel fare cosa?
«Nel dire sì a nuovi linguaggi, a nuove sperimentazioni».
Insomma, siamo schiavi di vecchi cliché.
«Allestero gli spot che vengono premiati nei festival internazionali sono quelli in cui il marchio si vede pochissimo, ma che possono contare su idee nuove».
Da noi, invece...
«Chi commissiona una campagna pubblicitaria vuole che il marchio sia sempre in primo piano e non accetta in alcun modo di giocare sullautoironia».
La conseguenza?
«Spot concettualmente vecchi e che ripetono sempre se stessi».
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