Gianni Baget Bozzo
Comunione e Liberazione ha celebrato la sua festività annuale, il Meeting di Rimini, il primo dopo la morte di don Giussani. Solo tra i movimenti ecclesiali del postconcilio, Giussani aveva avuto come problema centrale l'identità storica del cattolicesimo, nel momento in cui, con il '68, il nichilismo cominciava a serpeggiare anche nel mondo cattolico ed anzi particolarmente nel mondo cattolico. Non è un caso che sia in Italia che in Germania i primi segni del nichilismo spirituale cominciano nei luoghi religiosi, nelle facoltà teologiche o in istituzioni legate al mondo cattolico come la facoltà di sociologia a Trento. Il problema di don Giussani fu quello di dare una identità ecclesiale nella storia, cioè di restituire al termine «cattolicesimo» un senso concreto e reale nel momento in cui esso cessava di essere usato come definizione religiosa nel linguaggio comune. Mentre il nichilismo poneva la identità della fede nel rigetto dell'Occidente e del capitalismo, Giussani intese fare dell'identità cattolica una definizione di esistenza storica, una integralità non integrista e soprattutto non moralista in tempi in cui i nuovi modi del costume facevano della rivoluzione sessuale una forma culturale, distruggendo le basi della spiritualità e della morale cristiana del corpo.
Il Meeting di Rimini del 2005 si trova di fronte a una nuova avanzata del nichilismo in Europa e al fatto nuovo dell'Islam rivoluzionario e terrorista e all'emersione di un incontro di civiltà che ha aspetti conflittuali. Questi temi hanno fatto irruzione nel mondo del meeting, prima sostanzialmente legati al trasversalismo della Compagnie delle Opere, la cui chiave è il gruppo parlamentare della sussidiarietà trasversale ai due poli.
Non è un caso che, a giudizio comune, i due interventi fondamentali del meeting siano stati quelli di Marcello Pera e di Giuliano Ferrara, due non cattolici che hanno fatto del problema di civiltà e della lotta al nichilismo un aspetto fondamentale nella loro milizia politica e culturale.
Sostanzialmente i due interventi hanno posto il problema dell'identità storica del cattolicesimo e dell'impatto che esso ha nella realtà politica e morale degli anni Duemila, segnati oggettivamente dai problemi dei fini dello sviluppo umano, quando l'uomo supera i suoi limiti biologici e diventa il creatore di un universo manufatto, di un sistema globale di comunicazione e di informazione che cambia le memorie e le storie di tutti i popoli della terra. Ciò pone alla cultura occidentale i problemi nuovi rispetto ai conflitti da cui essa è nata, a cominciare da quello fondamentale tra cultura laica e cultura religiosa. Il Cristianesimo è oggi avvertito come un problema identificante la civiltà occidentale anche da coloro che non sono credenti, e anzi soprattutto da questi: come se la condizione non religiosa permettesse una crisi di coscienza più radicale della necessità sociale del fondamento religioso. È quello che Pera ha detto al meeting ed è stato frainteso solo per una parola infelice, il «meticciato» e non compreso nella intenzionalità del suo significato: l'apertura di una pagina europea postradicale e postlaicista, di cui si può riconoscere il fondamento cristiano dell'Occidente pur senza aderire alla dimensione credente che esso propone.
Ciò mi sembra una risposta al tema posto da don Giussani alle origini del suo ministero in Comunione e Liberazione: l'identità cattolica nella storia divenuto problema anche per i non credenti. E ciò, si badi, dopo che il nichilismo teologico aveva per decenni stravolto la teologia rendendola contraria all'Occidente e alla libertà e subalterna a un radicalismo postmarxista.
Forse per questo, nonostante l'intervento di Rutelli, il convegno di Rimini non è stato trasversale.
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