Il vero scandalo è il presidente della Camera

Mai si era visto un presidente ignorare il proprio ruolo bipartisan come ha fatto il leader Fli. Che, dopo aver aizzato l'opposizione, ha firmato la sfiducia al governo

Il vero scandalo è il presidente della Camera

Ogni giorno c’è una polemica scema. Verdini è preso di mira per una parola di troppo, dandogli un’importanza che non ha. Poi, sono gli stretti legami del Cav con Mosca e Putin a indignare gli ex comunisti che idolatravano la Mosca di Stalin. E giù una grulleria via l’altra. Nessuno però si accorge dello scandalo vero sotto gli occhi di tutti: l’indegnità costituzionale, politica e morale di Gianfranco Fini a presiedere la Camera.
La prevaricazione di Gianfry era già evidente nei mesi scorsi con la faccenda della casa, la creazione di un partito antagonista del Pdl nelle cui file era stato eletto, la guerriglia contro il governo. Ha ora raggiunto il culmine con la firma di una mozione di sfiducia che, confluendo in quella dell’opposizione, rischia di affossare la legislatura. Mai il presidente di un ramo del Parlamento si era messo di traverso con chi governa, anche a costo di dissolvere in anticipo la Camera a lui affidata.
Normalmente, uno nel ruolo di Fini è sopra le parti, si estranea dalle beghe politiche, pacifica. Gianfry ha invece sparso zizzania, sfogato gli odi, perseguito le proprie ambizioni personali. Non da semplice politico - cosa che sarebbe stata legittima anche se lo avrebbe comunque reso meschino agli occhi di molti -, ma restando incollato al trono di terza carica dello Stato. Da queste altezze ha fatto l’occhiolino a un’opposizione smarrita, l’ha incoraggiata a rianimarsi, aizzandola contro il governo con la promessa di aiutarla nella comune lotta al berlusconismo. Senza Fini, Bersani sarebbe ancora immerso nell’abulia dell’ultimo anno. Se oggi le sinistre di tutti i colori - comuniste, ex comuniste, giustizialiste - sono ringalluzzite, è grazie all’ex fascista. Questo per capire a quale Paese normale ci stiamo avviando e la bolgia in cui piomberemmo se questa bazzoffia raccogliticcia dovesse prevalere.
Fini fa salsicce della carica. Dopo di lui, la Camera non sarà più la stessa. Pensate se a Renato Schifani, presidente del Senato, venisse l’uzzolo di imitarlo. Gli sta antipatico Bersani? Domattina lo attacca, gli ingiunge di comportarsi come dice lui, dubita della sua sanità mentale, gli consiglia il ricovero nell’ospizio per raggiunti limiti di età. La Costituzione non glielo impedisce, né c’è modo di frenarlo. Tocca inghiottire. Esattamente come ora si è costretti a fare con le mattane di Gianfry.
In passato, solo Fausto Bertinotti nella scorsa legislatura gli si era avvicinato alla lontana. Incattivito contro il premier Prodi, dichiarò al Corriere della Sera che il suo governo aveva «fallito». Tutto qui. Per il resto fu un normale presidente della Camera. Molti notarono però l’infima anomalia, criticandola. Quando fu costretto a dimettersi, Prodi si tolse comunque il sassolino dichiarando che se il governo era caduto la colpa era di chi (Bertinotti, ndr) aveva fatto dichiarazioni «istituzionalmente opinabili». Una chiara accusa di tradimento del ruolo per averne violato la neutralità. Questo nonnulla, imparagonabile agli stracci fatti volare da Fini, è il precedente peggiore.
Prima dell’avvento dei pataccari, i numeri uno della Camera sentivano la dignità della carica. Pertini si dimise dalla presidenza - era il 1969 - solo perché i socialisti unificati (Psu), in rappresentanza dei quali era stato eletto, tornarono a dividersi in Psi e Psdi. «È cambiata la situazione parlamentare - disse il vecchio Sandro -, correttezza vuole che rassegni il mandato». Con questo provocò un dibattito sulla sua persona. Amici e avversari gli confermarono la fiducia e Pertini, confortato, restò al suo posto. Lo immaginate voi, Fini che chiede all’Aula di verificare la stima di cui è circondato? Sarebbe un bel vedere. Ma con tutti gli scheletri che ha in cassaforte, Gianfry si rannicchia, tiene strette le prebende e tira avanti impettito. Delle regole se ne impipa. Ha già annunciato che se gli gira, in caso di elezioni, si dimetterà per dedicarsi alla campagna elettorale. Dunque, lascerà l’Aula senza guida per oltre un mese, creando un altro sconquasso senza precedenti. Conferma adamantina dell’uso ad personam dell’istituzione che sciaguratamente incarna.
La caratteristica di Gianfry è la faccia di bronzo. Ieri, a una scolaresca che gli chiedeva le ragioni della crisi di governo, ha risposto in sintesi: «Perché un signore (il Cav, ndr) che doveva fare le cose per tutti ha pensato solo ai fatti suoi». A dirlo è lui! Lo stesso che doveva essere il geloso custode dell’appartamento monegasco ereditato da An e che lo ha invece ceduto al putto dei Tulliani a prezzi da robivecchi. Il medesimo che a furia di arroganti raccomandazioni ha trasformato la suocera casalinga in produttrice di «scemeggiati» Rai. L’identico che, creato il partitino a uso personale, si accinge a spillare quattrini agli italiani per lanciarlo nell’agone elettorale. Proprio costui osa accusare altri di usare le cariche per i propri comodi. Non vede la differenza tra sé e il Cav. Berlusca, alla luce del sole, chiede una legge per governare senza l’angoscia delle procure partigiane, come avviene altrove. Lui, all’ombra dei sotterfugi, sistema per un paio di generazioni la sua sfera privata.
Quello che stupisce, si fa per dire, è che tanti gli tengano bordone. Trascuriamo i compari - Casini, Rutelli, Di Pietro, Bersani e compagni vari - che pur di raccattarne un altro nella guerra al Cav fanno le tre scimmiette. Ma i mammasantissima che fanno? Sconcerta il presidente Napolitano, un genio nel trovare il pelo nell’uovo. Venera la Costituzione come Dante Beatrice, ma non gli esce un fiato sul vulnus di un presidente della Camera che capeggia la rivolta al governo. Idem i costituzionalisti, in genere con l’arma al piè in difesa della Sacra Carta. Quando Cossiga picconava dal Quirinale ci misero in guardia sulla sopravvivenza della Repubblica. Ed erano solo esternazioni beffarde. Ora, però, che Fini dall’alto del seggio azzoppa un governo e manda a ramengo una legislatura, tacciono. Dicono che la norma non lo vieta e fanno spallucce. Per costoro, che un presidente della Camera si comporti come Pertini o come Fini, pari sono. Allora, delle due l’una: o qualcosa non va nella Costituzione o qualcosa non funziona nelle loro teste.

E che dire infine dei giudici? L’appropriazione monegasca da parte del cognatino è provata. Ma i pm non ci trovano nulla di strano e chiedono l’assoluzione. Il giudice da più di un mese si macera e non decide. Auguri e figli maschi. Intanto, noi ci dimettiamo da cittadini.

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