Cultura e Spettacoli

Il vero viaggiatore è anche narratore

Dal 1700 al 1850: un Meridiano raccoglie gli scritti di autori che raccontano l’Italia dal «basso» e quelli che si spingono fino in Siberia

Nell’esperienza del viaggio c’è stata sempre una componente indissolubile. Nel suo saggio introduttivo a Scrittori italiani di viaggio. 1700-1861 (Mondadori, I Meridiani, pp. CXLVIII+1730, euro 55), Luca Clerici ci ricorda che questa componente odeporica del viaggio è appunto il fatto che esso possa essere raccontato, in prima o per interposta persona. Lo scrittore e il viaggiatore nascono insieme, è stato così fin dall’epopea babilonese di Gilgamesh, fin dalle navigazioni lungo il Nilo degli antichi Egizi. In tempi e ambiti più vicini a noi, e a testimonianza di come il viaggio si faccia scrittura, basterà ricordare il Milione dettato da Marco Polo a Rustichello da Pisa mentre erano insieme in prigione a Genova, o la raccolta di Navigazioni et viaggi, di Giovan Battista Ramusio, il geografo e viaggiatore in proprio che ricompose documenti e relazioni di Alvise Ca’ da Mosto, di Vespucci, Pigafetta e altri.
Ma è naturalmente dai primi decenni del Settecento che il viaggio e la scrittura di viaggio acquistano una dimensione nuova, meno epica e più variegata. Le testimonianze dei viaggiatori nostrani s’infittiscono, rispondono a esigenze create dall’evoluzione del gusto, a pulsioni intellettuali nuove, che tendono sia a razionalizzare il mondo sia a goderne esteticamente. Occorrerà non confondere tutto ciò con il Grand Tour, che è il viaggio degli stranieri in Italia. Il Grand Tour rappresenta l’aspetto più ideologizzato e vistoso del viaggio settecentesco, il suo momento culminante, quando i viaggiatori aristocratici e beneducati dei paesi del Nord partono per tuffarsi nella classicità italiana, giungendo a una tale dilatazione del fenomeno che tra il 1760 e 80, come scrisse Attilio Brilli nel suo Il viaggio in Italia, «non c’è viaggiatore inglese che non si lamenti dell’invadente presenza di compatrioti», girando per Firenze, Venezia, Roma, Napoli, ma anche per città minori.
Gli italiani itineranti sono meno numerosi dei colleghi stranieri. La nostra aristocrazia, tendenzialmente stanziale e provinciale, non trasforma il «Grand Tour alla rovescia» in un fenomeno di costume, come accade all’estero, e Alessandro Verri che va a Parigi e a Londra, l’Alfieri in Nord Europa, Castiglioni in America con un «viaggio da me intrapreso segnatamente per mia istruzione», sono casi individuali di libera iniziativa, a differenza di quello rappresentato dall’errabondo Giuseppe Baretti che, diventato ormai londinese, viene poi a viaggiare, non libero, in Italia come mentore del giovane Sir Edward Southwell.
Ma nel vastissimo panorama offerto da un’antologia come questa, che copre un secolo e mezzo di scritti di viaggio italiani (un futuro Meridiano presenterà gli scrittori di viaggio dei successivi 150 anni, e quindi ce ne saranno probabilmente altrettanti, da De Amicis a Barzini e Cecchi, da Fosco Maraini a Moravia e Parise, da Brandi a Piovene), ciò che colpisce è un generalizzato desiderio di scoperta «dal basso», quello che già a inizio Ottocento porta alla scrittura di viaggio «borghese», con esiti poi nella letteratura verista. E questa nuova «società dei curiosi» sviluppa i suoi interessi non solo in direzione di mondi lontani, ma di territori intermedi o prossimi, in virtù di un nuovo senso estetico, di un apprezzamento del bello naturale, oltre naturalmente al godimento dei monumenti e all’osservazione di caratteristiche sociali e ambientali.
Ecco allora, tra i viaggiatori che hanno scelto l’orizzonte domestico, Antonio Vallisneri che risale la Secchia fino alle sorgenti, o Vitaliano Donati che s’impegna in un viaggio mineralogico nelle Alpi occidentali, o Lazzaro Spallanzani che perlustra e descrive le due Sicilie, o Vincenzo Cuoco in viaggio per il Molise. Per gusti, tendenze e destini, gli scrittori di viaggio contemplati nella raccolta di Luca Clerici sono una moltitudine composita che egli ha dovuto raggruppare secondo le rispettive direzioni geografiche di viaggi. Dopo i viaggiatori italiani in Italia di cui s’è già dato qualche esempio, vi sono quelli, noti e meno noti, diretti ai quattro angoli del mondo. Francesco Negri è un oscuro parroco di Ravenna che nel 1663 parte, va a Danzica, Copenhagen, visita la Svezia, la Norvegia la Lapponia e arriva fino a Capo Nord; il suo Viaggio settentrionale, che egli dice di aver scritto non per gli eruditi «ma per tutti», fu pubblicato poco dopo la sua morte, nel 1700. Noto è invece un viaggiatore come Francesco Algarotti, che nei suoi Viaggi in Russia si spinse oltre il circolo polare artico in Siberia. Di Pietro Verri non sono riportate qui pagine del famoso Viaggio a Parigi e Londra (lo straordinario reportage su istituzioni, costumi e vita in forma di corrispondenza tra i due fratelli Pietro e Alessandro), ma alcuni meno conosciuti passi delle Memorie mentre partecipa alla guerra dei sette anni. Alessandro Volta è presente con la sua Relazione del viaggio letterario in Svizzera, Luigi Angiolini con alcune Lettere sopra l’Inghilterra, Scozia e Olanda, e così via, fino a Sebastiano Ciampi, precettore e classicista, invitato ad assumere la cattedra di letteratura greca e latina a Varsavia e autore di un deluso Viaggio in Polonia, e ancora fino al milanese Giovanni Rajberti, perfetto campione del viaggiatore ottocentesco, medico e poeta dialettale, che nel 1857 pubblica Il viaggio di un ignorante a Parigi.
Le figure strambe ed eccentriche non mancano. Alla fine del Seicento, Giovanni Francesco Careri, un giureconsulto di Napoli, pensò bene, «per sfuggire persecuzioni di nemici altolocati», di girare per l’Europa, poi, in Ungheria, combatté contro i Turchi, e infine decise di fare il giro del mondo, e in questo libro ci sono le pagine che riguardano la navigazione sul Nilo e la descrizione del Cairo. A metà Ottocento, Gaetano Osculati, borghese benestante di S. Giorgio al Lambro, uomo colto e inquieto, che già aveva compiuto viaggi in Egitto, Siria e Asia Minore, decise di partire, «non sussidiato dalla liberalità di alcun governo, non sorretto dagli eccitamenti di società scientifiche», per l’America del Sud, e abbiamo qui Il viaggio da Lima ad alcune tribù barbare del Perù e lungo il fiume delle Amazzoni. Rare le testimonianze delle donne.

Margherita Sparapani Boccapadule, una marchesa di Camerino, descrive, alla fine del Settecento, Milano e i suoi dintorni, e negli stessi anni Isabella Teotochi Albrizzi, una intellettuale di Venezia che teneva salotto e aveva contatti importanti, come Byron, Alfieri e il giovane Foscolo, che volentieri fu ospitato nella sua alcova, scrisse un colto e sottile Viaggio e visita a Firenze, iniziato però sotto cattivi auspici: «Partita da Venezia li 30 marzo 98, ho dormito alla Mira; con ottimo viaggio il 31 sono arrivata a Monselice, dove ho pernottato; un reuma alquanto forte m’ha obbligata a pormi a letto prima delle sette».

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