Verona, il branco in galera. Ma nessuno si pente

In manette anche gli altri due giovani fuggiti a Londra dopo l’omicidio di Tommasoli. Restano da accertare le singole responsabilità per capire chi ha dato il calcio fatale alla vittima

Verona, il branco in galera. Ma nessuno si pente

Verona - E se Nicola Tommasoli fosse morto per un problema neurologico? La gravità di quanto accaduto in questi giorni a Verona non verrebbe meno, ma i contorni giudiziari sarebbero davvero tutt’altro per i cinque ragazzi che sono nel carcere veronese, accusati dell’omicidio di Tommasoli, il disegnatore morto l’altro giorno dopo cinque giorni di agonia per essere stato pestato la notte del primo maggio.

La voce ieri s’è insinuata pesantemente. Il magistrato che coordina le indagini, Francesco Rombaldoni, a domanda diretta se esista un nesso di causalità tra la morte del grafico e le botte, non ha avuto esitazioni. Ha risposto sicuro: «Sì». Eppure ieri, l’avvocato difensore di quasi tutti i ragazzi indagati, Roberto Bussinello, ha chiesto una perizia medico legale alla dottoressa Gabriella Trenchi (che stamattina sarà presente all’autopsia), proprio per essere certo che il problema possa escludersi.
Intanto l’altra notte sono stati portati in carcere gli ultimi due indagati che mancavano all’appello. Erano scappati a Londra, come facevano negli anni Sessanta quelli che alla destra appartenevano davvero e cercavano nella «perfida Albione», un rifugio per la loro latitanza.

Nicolò Veneri, vent’anni il prossimo agosto, residente a Quinzano, nell’omonima via, e Federico Perini, suo coetaneo di Boscochiesanuova, entrambi studenti ripetenti in un istituto tecnico privato, sono atterrati su un volo Ryanair all’aeroporto di Orio al Serio. Fino a lì ci sono arrivati grazie ai biglietti prepagati che il papà di Veneri ha fatto loro arrivare via mail, in Inghilterra pur di farli rientrare.

La fuga comincia il pomeriggio del due maggio, e parte da Verona dopo un incontro tra Veneri, Perini e Raffaele Dalle Donne. L’ultimo però non parte con loro, a causa della discussione con il padre che ha già scoperto tutto e gli chiede di costituirsi. Gli altri due, con l’auto della mamma di Perini, arrivano a Innsbruck, poi da lì si spostano. La questura dice forse in taxi, fino a Monaco di Baviera. Ma è incredibile che i due ragazzi potessero permettersi un costo simile. Da lì, poi con un volo Easyjet, i due atterrano in Inghilterra dove vengono ricontattati dai familiari che li convincono a rientrare.
Il dirigente della Digos, Luciano Iaccarino, ha sottolineato che i ragazzi erano stravolti, che soltanto adesso si sono resi conto della gravità di quello che hanno commesso.

Ma è ancora presto per parlare di pentimento. Iaccarino ha ribadito che nessuno dei ragazzi ha accusato altri, tutti hanno ammesso di aver partecipato alla zuffa e di aver dato pugni, ma nessuno ha detto di aver colpito Tommasoli mentre era a terra.

Il padre di Veneri ha ribadito che il figlio gli ha assicurato di non essere stato lui a colpire Tommasoli, che le botte sono partite da Guglielmo Corsi, il ragazzo di Illasi che aveva chiesto la sigaretta (se sigaretta era) negata dalla vittima.
Stabilire le esatte responsabilità di ciascuno degli aggressori non sarà un compito semplice. L’autopsia di oggi resta fondamentale.

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