Che fosse liscia, gassata o lavata con Perlana, la copywriter milanese Annamaria Testa ha fatto la storia della pubblicità e della comunicazione in Italia. E continua a farla nel suo studio Progetti Nuovi, vicino alla stazione Cadorna. Ma non è solo per i suoi celeberrimi slogan e spot che la scorsa estate è tornata alla ribalta. Il suo sito www.nuovoeutile.it (NeU), online da circa un anno, è stato inserito tra le poche fonti consultabili e aggiornate per il tema sulla creatività dato alla maturità: «Era un giorno qualsiasi per me, invece mi sono accorta di una crescita pazzesca di accessi al sito. Erano gli studenti, che andavano a vedere da dove fosse spuntato quel riferimento. Certo, se qualcuno di loro ci avesse fatto un giro prima, si sarebbe di sicuro preso un voto alto». Nel sito ci sono modelli e metodi creativi, buone pratiche e strumenti per affrontare cinema, arte, tv, moda e ambiente, musica e scienze e poi news su libri ed eventi: in altre parole, un serbatoio di «professionalità rinnovabile». Non a caso la Testa sarà tra gli ospiti del Bookjockeyday che si terrà in Triennale alla fine di novembre (vedi box).
Il sito è un esempio inedito, almeno per l'Italia, di estrema generosità
«È il mio archivio personale: tra vita e carriera, ho messo assieme tante di quelle conoscenze... Se non le mettevo online, non mi sarei mai decisa a sistemarle. Sembra strano, perché nei mestieri come il nostro le persone piuttosto nascondono le loro fonti, ne sono gelose».
Lei invece?
«Intanto spero che, essendo generosa, qualcosa mi torni indietro. È lo stesso spirito con cui è nata la rete. E poi questo Paese ha bisogno di ritrovare un'energia creativa perduta. Un bisogno strategico. Molti entrano, guardano e cercano un'immagine divertente. Ma NeU è costruito come una libreria: si vedono solo le coste. Invece bisogna aprirne le sezioni, esplorare: ci sono spunti per una tesi o per trovare un lavoro e anche le mie idee per l'Expo 2015. E lo coccolo come un infante: è continuamente aggiornato».
Il sapere rinnovabile è un bel concetto. Ma la letteratura, e la musica e il cinema da riciclare: non sa un po' di copia, insomma, di plagio?
«Qualsiasi gesto creativo non è che la ricombinazione di elementi preesistenti».
Ma riscrivere, fare una cover, un remake, in cui si vede benissimo il punto da cui si è partiti: è come dire che la creatività non esiste, che tutto si rifà...
«Guardi, mi considero abbastanza "espertina" di creatività - ci sto anche scrivendo un nuovo libro per Rizzoli che uscirà la prossima primavera - da affermare che gran parte dell'apprendimento creativo consiste nel farsi un repertorio di schemi già fatti da rielaborare. Lo fanno i pittori quando imparano a dipingere copiando i grandi. Lo fanno gli scrittori quando, prima di scrivere, leggono. O almeno dovrebbero. Copiare e riscrivere è come fare ginnastica, un allenamento per sviluppare competenze».
Come si distingue allora un «copione» da un artista vero?
«Mi sembra ovvio che se qualcuno le spaccia Les demoiselles d'Avignon come originale è invece una copia. Ma fare proprio lo sguardo di Picasso è un'operazione legittima. Partendo da lì si inventa un proprio stile. Anche Picasso "interpretò" Las Meninas di Velázquez».
Come mai allora ci si accanisce tanto a rintracciare le prove di plagio nelle opere letterarie?
«Il presupposto è pericoloso: che si possa essere creativi nella totale ignoranza di quello che è accaduto prima. Se Newton sostiene di essere salito sulle spalle dei giganti vuol dire che prima i giganti li ha "imparati". Certo chi spaccia per propri risultati altrui rubacchia. O copia da salame, in maniera stordita, senza nemmeno capire che cosa si sta copiando».
Il nostro è sempre un Paese di creativi?
«L'Italia è messa male, ma in maniera non omogenea: ci sono alcune isole misteriose e miracolose di qualità e di eccellenza, di determinazione, tenacia e competenza, che sviluppano nell'imprenditoria risultati straordinari, allineati con i migliori nel mondo. Ma l'assenza di donne dai ruoli chiave è un danno in termini di innovazione».
Sono più creative?
«Non mi fraintenda: non è che siamo meglio o capiamo di più. Semplicemente la nostra è una visione integrata che in momenti storici come questo gestisce meglio la complessità. Rinunciare al contributo femminile è cecità».
E Milano è sempre l'ombelico della comunicazione?
«Nel giro di pochi anni le cose che succederanno davvero saranno in rete. Anche la pubblicità è un mercato destinato a cambiare. Milano è sempre il centro di tutto, ma questo tutto è in grande mutamento».
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