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Vi spiego perché difendo il ministro Sandro Bondi

Incolpato del crollo di Pompei, insultato perché ha affrontato gli inevitabili tagli economici, il titolare della Cultura ha introdotto efficienza e merito

Vi spiego perché difendo 
il ministro Sandro Bondi

Il crollo della Casa dei Gladiatori di Pompei è la conseguenza di una cattiva amministrazione e di una ancora peggiore manutenzione precedenti; attribuirne la responsabilità all’attuale ministro dei Beni culturali è la più surreale applicazione dell’antico «Piove, governo ladro!». Quanto ai tagli alla cultura, voluti dal ministro dell’Economia, in proporzione non sono maggiori di quelli applicati a altri ministeri, altrettanto vitali. Sandro Bondi li ha accettati (dolorosamente, immagino) dopo avere cercato di limitarli. Soltanto la potenza mediatica dei colpiti - registi, attori, funzionari di enti ecc. - ha potuto farne un caso addirittura più grave dei tagli alla sanità. C’è, infine, da dubitare che si sarebbe arrivati al voto di sfiducia se il ministro non fosse anche uno dei coordinatori del Pdl; se verrà «sfiduciato», si tratterà di un voto che poco ha a che fare con i suoi meriti e demeriti.

Occorre ricordare che il Paese non scese in piazza, e il parlamento tacque, quando si verificò il maggiore scandalo mai legato al ministero dei Beni culturali. Non si tratta di preistoria, ma del 1988. Si doveva assegnare un ministero al Partito socialdemocratico italiano, e in particolare a Vincenza Bono Parrino, la quale aveva ereditato dal marito, socialdemocratico defunto, un bel pacchetto di voti. Così, nel governo di Ciriaco De Mita, Bono Parrino occupò la poltrona che era stata di Giovanni Spadolini: avendo persino difficoltà a parlare in un italiano comprensibile. L’unico evento per il quale vale la pena di ricordarla è la frase detta all’atto dell’insediamento: «Per ora non so nulla. Ma studierò». Immagino lo stia ancora facendo, tanto erano gravi le lacune. Nessuno scese in piazza, dicevo, mentre contro Bondi si sollevò quasi l’intera intellettualità italiana - 8000 firme - quando il ministro decise di creare la nuova Direzione generale per la valorizzazione dei beni culturali e di affidarla (affronto! affronto!) a un manager di comprovata abilità, Mario Resca, incaricato fra l’altro di razionalizzare il sistema museale, dalla messa in sicurezza degli edifici all’organizzazione del personale. Ci si oppose: come se il marketing e la comunicazione sulle quali Resca ha basato la sua azione - con ottimi risultati - potessero venire affidati a uno studioso di Leopardi o a qualcuno che non sappia niente di bilanci: la cultura per la cultura è una cosa, l’azione per la cultura è un’altra, non meno importante e delicata. Che si faccia azione per la cultura è di per sé un fatto culturale di cui compiacersi se si vuole guardare avanti e non oziosamente indietro. Quella di Bondi fu una decisione difficile e di enorme importanza strategica, di cui il Paese dovrebbe essergli grato. Ne tengano conto gli sfiducianti.

Tengano conto, magari, anche del mio piccolo caso, che espongo in sintesi, a rischio di imbrodarmi lodandomi. Nell’ottobre del 2008, basandosi sui miei studi dannunziani e sulle mie esperienze manageriali, Bondi mi designò nuovo presidente del Vittoriale degli Italiani, nomina accettata con giudizio bipartisan dalle commissioni Cultura di Camera e Senato. Trovai una casa/museo che, nonostante la buona amministrazione del mio predecessore, negli ultimi anni aveva perso decine di migliaia di visitatori. Fu facile calcolare che, se l’andamento fosse proseguito in quella direzione, fra pochi anni ci saremmo trovati di fronte alla chiusura del Vittoriale, un museo unico al mondo, con i suoi dieci ettari di parco e i 33.000 volumi appartenuti a Gabriele d’Annunzio, per non dire dei documenti. Bene, già nel 2009 la tendenza si è invertita e i visitatori sono aumentati: nel 2010 di ben 11.000 unità. Il bilancio è sanissimo, tanto da permettere di reinvestire gli utili nella necessaria manutenzione; senza finanziamento pubblico.

Com’è stato possibile? Semplice: marketing, comunicazione e aumento dell’offerta. Ho chiesto agli artisti di donare opere ispirate a d’Annunzio e ho fondato un nuovo museo, l’«Omaggio a d’Annunzio», che espone, faccio solo due nomi, una ceramica di Luigi Ontani e un cavallo di Mimmo Paladino. Ho chiesto a una Fondazione bancaria - la Cab di Brescia - di finanziare, oltre all’acquisto di documenti, l’apertura di un secondo museo, il «D’Annunzio segreto», dove si può ammirare tutto ciò che finora era rimasto chiuso negli armadi e che ha aumentato il flusso dei visitatori e gli incassi. I documenti acquisiti, grazie alla Cab e a mie ricerche personali, sono migliaia e migliaia di pagine autografe, e i beni complessivi acquisiti dal Vittoriale senza spendere un centesimo superano il milione di euro. L’economia e l’occupazione di Gardone Riviera ne traggono vantaggio. Il prossimo 5 marzo, verrà inaugurata una nuova scultura, uno stupendo bronzo di Ettore Greco raffigurante san Sebastiano, verranno esibiti nuovi documenti, verranno piantati venti cipressi, caduti e mai sostituiti dal 1938 a oggi. (Spero contribuiranno a migliorare la posizione del Vittoriale nella classifica dei dieci parchi più belli d’Italia, nella quale siamo entrati l’anno scorso). Annuncerò inoltre, per maggio, l’acquisizione di un’altra, straordinaria, donazione. Ogni evento verrà salutato da undici colpi di cannone, come faceva d’Annunzio: marketing, comunicazione, ma anche storia.

Il tutto senza rinunciare a una politica culturale, di convegni e di studi, che ripropone D’Annunzio per quello che fu: un libertario e un modernizzatore, non un protofascista e un decadente. Dall’alto della mia carica onorifica da mille euro al mese, sarei contento se - al momento della votazione - un parlamentare pregiudizialmente ostile, magari un bresciano, tenesse conto che ci sono molti modi per reagire ai tagli alla cultura e al degrado dei beni culturali. E che Bondi ne ha individuato più d’uno. 
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giordanobrunoguerri.it

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