dal nostro inviato a Padova
Giovanni Schiavon era un piccolo imprenditore veneto di 59 anni, aveva una ditta di asfaltature e movimento terra chiamata Eurostrade 90 a Peraga di Vigonza, poco fuori Padova. Gran lavoratore, riservato, preciso, una fama di serietà che gli aveva fatto ottenere parecchi appalti pubblici. Lunedì 12 dicembre si è sparato, sepolto dai debiti: 250mila euro per lavori finiti, ma non pagati, in gran parte dalle pubbliche amministrazioni. «Perdonatemi, non ce la faccio più», ha lasciato scritto alla moglie Daniela e ai collaboratori. Nell’ultimo mese si sono suicidati due imprenditori nel Padovano e uno presso Treviso.
Il grido senza speranza di questi gesti estremi sgomenta ma non deve diventare un’eco lontana. Per piccoli imprenditori, commercianti e professionisti la crisi di questi mesi è più subdola e pericolosa di quella del 2009, quando le banche cominciarono a tagliare i fidi in ossequio a quelle parole inglesi, credit crunch, che sembrano masticarti. Era un’emergenza vicina ma dalle cause lontane, i mutui americani.
Intervennero i governi, gli Stati si fecero garanti, le banche italiane erano solide e le difficoltà circoscrivibili, intervenne la cassa integrazione. Nella prima tragica ondata di suicidi morirono 50 imprenditori in tutta Italia. Ma c’era spazio per ricominciare, e molti ripartirono senza perdere lo sguardo positivo sulla realtà, cogliendo ancora le opportunità e infilandosi negli spiragli aperti dal mercato.
Adesso, invece, è ancora peggio. Le banche sono di nuovo senza soldi, e anche lo Stato, che non paga più. Sei mesi fa le fatture con le amministrazioni pubbliche conservavano un valore, garantivano anticipazioni e crediti. Oggi no. Se non sei capace di farti liquidare non sai fare il tuo mestiere, si sentono rispondere gli imprenditori agli sportelli bancari. Ma gli stipendi vanno pagati, le fatture emesse, l’Iva versata ogni 30 giorni in attesa di pagamenti che arriveranno chissà quando. Non girano soldi. È un problema non di debito ma di cassa, di liquidità. «Su un bilancio di 10 miliardi di euro ne abbiamo 1,4 fermi in Tesoreria a Roma per il Patto di stabilità», dice il governatore veneto Luca Zaia.
Per la piccola e media impresa italiana, lo Stato è di nuovo il Grande Nemico. Si stima che il debito del settore pubblico verso le imprese ammonti a 60 miliardi di euro che non si sa dove scovare. Negli ultimi 10-15 anni, a fronte dei crescenti tagli dei trasferimenti da Roma, enti locali e Asl hanno appaltato sempre più servizi ai privati, per i quali si sono aperte nuove possibilità. Ma su di loro si sono trasferite le difficoltà finanziarie delle casse pubbliche. E per un perverso paradosso, il patto di stabilità premia gli enti locali che ritardano di pagare le forniture per beni di investimento e lavori immobiliari. Meno paghi, più sei virtuoso: una trappola spietata perché accompagnata da una stretta fiscale asfissiante. Da questa spirale è sempre più difficile uscire. «Io sono costretto a prendere due Xanax (un ansiolitico, ndr) al giorno», confessa Stefano Gallo, titolare della Al.Ga. Costruzioni di Saonara (Padova) e amico di Giovanni Schiavon.
Le associazioni di categoria forniscono dati agghiaccianti. Secondo Confindustria Padova, per il 67% delle piccole e medie aziende locali (due su tre) i tempi di pagamento sono peggiorati negli ultimi sei mesi. Il cliente meno affidabile è lo Stato che non salda le fatture prima di 120 giorni contro i 63 del resto d’Europa. Ma quattro mesi è una media. «In associazione riceviamo segnalazioni di casi-limite con ritardi fino a 600-700 giorni - dice Massimo Pavin, presidente degli industriali padovani -. La mancanza della minima certezza sui tempi di incasso pregiudica ogni operatività e programmazione dell’azienda». Le banche infatti abbassano il «rating» di chi fatica a riscuotere: anche se l’azienda è sana e avrebbe mercato e competenze, essa diventa meno affidabile per colpe altrui.
Mario Pozza, agguerrito presidente di Confartigianato Treviso, mette in luce il rovescio della medaglia. Per quei pochi che riescono ancora a ottenere finanziamenti bancari, i tassi di interesse sono sempre più elevati: dal 4,5% dello scorso settembre si è balzati all’8 e in certi casi addirittura al 12%. Percentuali da usura. Stasi economica, restrizioni del credito, aumento dei costi, eccezionale allungamento dei tempi di pagamento. «Un mix velenoso per il funzionamento delle imprese»: Pozza è allarmatissimo.
Il ritardo nelle liquidazioni colpisce soprattutto gli artigiani e i piccoli e medi imprenditori, ovvero il tessuto più vitale dell’economia italiana, quello che meglio potrebbe far fronte alla crisi, perché più flessibile e capace di adattarsi rapidamente ai mutamenti del mercato. Il settore maggiormente colpito è quello delle costruzioni: un anno fa, spiega Pozza, un edile doveva aspettare 94 giorni ma oggi siamo a 157.
Il punto critico resta il rapporto con la Pubblica amministrazione. E se un impresario sceglie di tutelarsi in tribunale si scontra con i tempi infiniti della giustizia civile. La Banca mondiale stima che in Italia servano 1.210 giorni per tutelare un contratto, 170° Paese sui 183 monitorati. Il doppio della media delle nazioni più avanzate. Dove chi può si rifugia: il presidente della provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, ha rivelato che i provvedimenti del governo Monti stanno spingendo alcune aziende altoatesine a trasferirsi in Austria e Svizzera, dove già le ditte di autotrasporto vanno abitualmente a fare gasolio.
Come se ne esce? Corrado Passera ha proposto di saldare le imprese in Bot; altri, come l’onorevole Raffaello Vignali, ipotizzano l’intervento della Cassa depositi e prestiti esclusa dal Patto di stabilità. Nel frattempo la Provincia di Padova sta vendendo le quote nelle autostrade venete per saldare i debiti più urgenti, mentre l’Associazione dei costruttori di Verona ha ingaggiato lo psichiatra Vittorino Andreoli per aiutare gli imprenditori in maggiori difficoltà.
Imprenditori e forze sociali del Veneto hanno firmato compatti un appello al premier Mario Monti e al ministro Passera, chiedendo «un segnale concreto e immediato»: «Recepire già a gennaio la Direttiva comunitaria che stabilisce il termine massimo di pagamento in 30 giorni per merci e servizi forniti alla pubblica amministrazione e 60 giorni tra privati. Come può lo Stato chiedere sacrifici ai cittadini se è il primo a non rispettare i patti?». È l’unico diktat europeo cui Monti disobbedirà.
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