Viareggio, ecco il fair play spiegato ai grandi

Portiere s’infortuna, giocatore del Piacenza tira fuori a porta vuota: «Abbiamo perso ma lo rifarei»

Per una cosa meno eclatante Paolo Di Canio si guadagnò il rispetto degli inglesi e quel Premio Fair Play che da anni la Fifa non assegna più. A Simone Guerra, invece, resterà nel cuore l’applauso di uno stadio e l’ammirazione dell’Italia pallonara che tra un terzo tempo e una polemica proprio non capisce cosa sia il gioco pulito.
L’ha insegnato Simone Guerra, 18enne piacentino più maturo dei professionisti che nel dopopartita si ingiuriano e si fanno ammonire. San Donato, provincia di Pisa: si gioca Piacenza-Reggina, per il torneo di Viareggio tra i ragazzi Primavera. Simone è lanciato a rete, quando il portiere reggino Saraò si scontra con il suo difensore e si infortuna ad una mano. La porta è vuota. Non quelle occasioni in cui sbagliare è facile e perciò si sceglie di buttarla fuori. Qui il gol è già fatto. Ma Guerra non ci pensa un attimo e la calcia comunque in fallo laterale per permettere i soccorsi. Senza imposizioni, istintivo come il gol per un attaccante, il gesto fa scattare in piedi tutto il pubblico in un applauso: «Lo rifarei. Non mi sembrava giusto segnare - ha commentato candidamente Guerra -, la porta era vuota». Perché il calcio è ancora un “giuoco”. E che gusto c’è a giocare da soli?
Pacche sulle spalle e sostituzione per il portiere avversario. Il destino dovrebbe ricompensare il Piacenza, invece gli emiliani sbagliano troppo e la Reggina segna con un tiro da 60 metri. E quel gesto di fair play pesa ancora di più. «Nessun rimprovero o rimpianto - spiega l’allenatore piacentino Luciano Bruni, ex gloria del Verona scudettato -. Questa società crede che i principi e i valori valgano più dei risultati. Sono orgoglioso di Simone, ma amareggiato per la sconfitta».
Un episodio non nuovo nella carriera del mister livornese: «Qui a Piacenza siamo recidivi: l’anno scorso contro il Parma successe un fatto analogo, protagonista Antonio Piccolo. Forse non è un caso che abbiamo l’Unicef come sponsor». I sorrisi però si limitano a questa battuta. Anche perché in passato non tutti sono stati altrettanto corretti: «Allenavo la Fiorentina Primavera e in finale di un torneo perdemmo 1-0 perché un avversario approfittò dell’infortunio del nostro portiere e si fece metà campo da solo mettendo in rete. Il loro allenatore non solo non fece nulla per impedirlo, ma esultò pure».
Rimane il ruolo di educatori: «I ragazzi prima di diventare calciatori devono diventare uomini. Il terzo tempo vero è il comportamento in campo, non il saluto forzato a fine gara. Ci stanno furbate e scontri, ma tutto deve finire lì.

E se qualcuno si fa male, si fa come Simone. Non è mica la playstation».
Già, chissà se lo capiranno anche i campioncini cresciuti della serie A, che a trent’anni dovrebbero darci un taglio con la playstation e con le risse da bulletti.

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