Il primo è un candidato «di guerra e nella bocca ossi non ha e nemmeno violenza». Dario Franceschini è così, con quella sua aria da Gandhi in maniche di camicia (non picchieresti uno con gli occhiali, no?) ma con una parlantina isterico-avvelenata e - dice chi lo conosce bene - un pugno di ferro da luogotenente.
Il look da ragioniere, il passato imperfetto da democristiano e il passato prossimo da vice-disastro di Veltroni, così come lo ha sarcasticamente definito Matteo Renzi. Franceschini è l’Aramis della terna in corsa per la segreteria del Pd: un esile e machiavellico gentiluomo che strizza l’occhio alle gerarchie ecclesiastiche. Ecco, magari gentiluomo ma poco coerente, dato che per mesi si è definito «reggente ad interim» e poi - evidentemente stuzzicato dal giochino - ha deciso di candidarsi al congresso «per non lasciare il partito in mano a chi c’era prima». Che prima c’era ancora lui, eh, ma sono dettagli. D’altro canto aveva pure detto: «Il mio obiettivo è confermare i voti del Pd alle Europee e chiudere questo clima di litigiosità». Ha perso 7 punti secchi, una roba che nemmeno con la napola a scopone scientifico, e il Pd è pacifico come i Balcani dei primi anni Novanta. Perfetto, bis.
Ma Franceschini è italiano e l’italiano - si sa - «dice cosa e fa altra». E allora può candidarsi a guidare il Pd uno che nel ’99 tuonava: «Sta emergendo la divisione tra chi come me vede l’Ulivo come una coalizione e chi invece lo vede come avvicinamento al cosiddetto Partito democratico». Ecco, ora Dario punta forte su quel cosiddetto. E lo fa saccheggiando un po’ le idee altrui: a Berlusconi ha scippato il video della «discesa in campo», piazzandosi tra una libreria Ikea e una videocamera per l’annuncio ufficiale; da Veltroni ha mutuato la bella-iscritta-giovane sul modello-Madia (nella fattispecie la fatina romana Michela Di Biase); e dalla Dc eredita un cerchiobottismo olimpico condito da «profilo largo», «pluralismo» e giudizi come quello su Craxi: «Moderno ma con lati negativi». Poche idee, ma chiare.
Franceschini vice-disastro, però, è lanciatissimo. Basta non ascoltare D’Alema che sussurra: chi perde di solito si fa da parte. Lui invece raddoppia. E al volante del suo scuolabus democratico dà un passaggio a tutti i volti nuovi da Adinolfi (il «profilo largo») alla Barraciu, da Sassoli alla Serracchiani. Sì, quella che lo sostiene perché «è più simpatico» e non è di apparato. Fa politica dal ’74 (l’anno di Germania Ovest-Olanda con Beckenbauer e Cruijff), ma è un innovatore nato. E infatti sono nati a suo sostegno 120 giovanissimi comitati, da New York (la sede sarà l’attico di Veltroni a Manhattan?) a Cerignola. Per non dire dell’idea super-trendy di apparire su «Repubblica Tv» per parlare di Berlusconi «prigioniero del suo reality». Ovviamente Dario ha parlato dal suo confessionale.
Insomma, Franceschini da Ferrara, quello che appena nominato leader pro tempore giurò col padre partigiano sulla costituzione manco si sentisse un imberbe Abramo Lincoln, ora si avvicina alla tenzone rivendicando che «nessun partito di sinistra nell’Ue ha 8 milioni di voti». Resta da vedere su cosa giurerà se dovesse vincere: Bibbia o «Capitale»?
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