Vicente Vilar David

Era l’ultimo degli otto figli di un imprenditore di Manises, in provincia di Valencia. Vicente, nato nel 1889, dopo il diploma di iscrisse alla facoltà di Ingegneria a Barcellona. Giovane di robusta fede cattolica, durante gli anni universitari, malgrado i tempi “laici”, frequentava l’Adorazione Notturna (s’intende, al Sacramento). Presa la laurea in Ingegneria industriale, si impiegò nella fabbrica di famiglia, che produceva ceramiche. Morti i genitori, gestì l’azienda insieme a tre suoi fratelli. Nel 1922 sposò la sua fidanzata di sempre, Isabel Rodes Reig. Quando assunse in prima persona la direzione della fabbrica si sforzò di seguire le linee della dottrina sociale della Chiesa, specialmente nel rapporto con gli operai. Rapporto che è “paternalistico” se un cattolico come il Vilar va a trovare i suoi operai quando sono malati o li aiuta finanziariamente se hanno bisogno (per questo non pochi padroni, oggi, votano comunista). Ma venne la Seconda repubblica spagnola, i massacri anticattolici delle Asturie nel 1934 e la guerra civile nel 1936. Valencia era nella zona “rossa” e per qualche mese fu capitale repubblicana, dunque la persecuzione religiosa vi fu particolarmente accanita. Il Vilar nascose nella sua casa preti e suore braccati, ma non poté salvare il suo parroco, che fu assassinato, né la chiesa, che venne incendiata.

Nel febbraio del 1937 i miliziani lo portarono via e lo fecero ritrovare morto. I suoi operai chiusero la fabbrica per lutto, e la tennero chiusa tre giorni opponendosi alle ingiunzioni delle autorità perché riprendessero il lavoro.

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