Mi sono trascinato dietro per decenni un pacco, mica tanto piccolo, di fotografie polaroid risalenti agli anni Settanta. Neanche tanto spinte, per la verità, ma ricordo che era un’allegria - più che un’eccitazione - scattare immagini osé con la fidanzata o la ragazza di turno. Era bello il rito, soprattutto: costavano care, quelle foto vendute a pacchetti di otto, e ogni inquadratura doveva essere ben studiata. Magari per nascondere i visi e esibire quel che di solito viene tenuto nascosto. Era divertente scattare, sentire il ronzio del cartoncino che usciva dall’apparecchio, vedere formare l’immagine sotto gli occhi, piano piano, sventolarla perché si asciugasse, osservarla insieme, commentarla, e poi - passaggio fondamentale - nasconderla. Perché era una faccenda privatissima, e fonte anche di qualche lite, al momento della separazione (immancabile). «Ridammi le foto». «No, le distruggo».
Ma, ripeto, me ne rimase una bella quantità. Le tenevo senza mai guardarle, perché in fondo mi intristivano, più che inorgoglirmi. Un po’ per l’evidente trasformazione, non in meglio, del corpo; un po’ perché sembrava di visitare le lapidi di un cimiterino dell’amore e del sesso. Ma continuavo a pensare-non-pensare che sarebbero state un bel ricordo per la vecchiaia, se non addirittura un documento della mia vita.
Le distrussi senza alcun rimpianto nel trasloco per una nuova casa che avrei condiviso con la compagna definitiva della mia vita e madre dei miei figli: mi faceva vergogna e raccapriccio, pensare che un giorno avrebbero potute vederle anche loro. Mica per i contenuti, certo: per cosa avrebbero pensato di me, che le avevo conservate e quindi destinate alla visione dei posteri. I quali, di fronte a quelle immagini, non avrebbero potuto che provare una compassionevole ilarità, la stessa che proviamo noi di fronte a certi dagherrotipi, primo esempio di pornografia ottocentesca.
Tutto questo è difficile da spiegare ai ragazzi e alle ragazze, anche ultraminorenni, che ogni giorno a milioni si scattano foto e girano filmini più o meno porno, per poi addirittura metterli in rete, magari vendendoli in cambio di ricariche telefoniche o di piccoli compensi. Un fenomeno dilagante.
«Questi ragazzi non conoscono i rischi rilevanti di un comportamento del genere», ha commentato il garante della Privacy Francesco Pizzetti: «Devono essere consapevoli che un domani questi video potrebbero essere conosciuti dal datore di lavoro, dal padre del ragazzo con cui vorrebbero fidanzarsi o il fidanzato stesso. Dalla rete è difficile se non impossibile eliminare un documento. Ma ci sono anche problemi di carattere giuridico perché la pubblicazione sul web del video della compagna di classe può integrare reati di pornografia, di corruzione di minore, etc ai quali si va a rispondere in Procura».
La tecnologia - fenomeno dominante la nostra epoca - è dalla loro parte, mettendo a disposizione strumenti a costo zero e con infinite possibilità di riproduzione. La rivoluzione sessuale, faticosamente compiuta e vinta dalle generazioni precedenti, si è conclusa - complice l’aids - in un’esibizione del sesso, più che nella sua pratica attiva.
E se gli affari sono affari, anche la vanità è vanità: il desiderio di stupire i coetanei, di sgomentare gli adulti, di mostrare con così poco sforzo indipendenza e liberazione dagli schemi.
Però, diffondendo in rete i loro documenti sessuali, piuttosto che pensare al loro futuro di anziani segaioli e nostalgici i ragazzi sembrano ignorare che avranno un futuro.
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