Vietato dare appalti ai sospettati di mafia anche se già assolti

Alessandra Pasotti

MilanoNon serve essere stati condannati, né avere indagini penali in corso. Non basta neppure l’archiviazione e l’assoluzione. È sufficiente un indizio, un elemento che «pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova sia tale da far ritenere sconsigliabile l’instaurazione di un rapporto con la pubblica amministrazione». È giro di vite a Milano contro le infiltrazioni mafiose nel tessuto imprenditoriale e nei lavori pubblici. La prova è in una sentenza del Tar che ha stabilito che «l’assoluzione o l’archiviazione di un procedimento penale non valgono in sé ad escludere la sussistenza di ogni pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa».
Il caso è quello di un’azienda, la Giada Macchine, estromessa da un appalto dallo stesso Prefetto perché considerata «a rischio di infiltrazioni mafiose». La società operante nel settore edile di scavi e demolizioni era stata incaricata in un cantiere per il raddoppio della linea ferroviaria Milano - Mortara. La prefettura di Milano l’aveva però messa alla porta ritenendo che «l’attività investigativa della Dia (direzione investigativa antimafia) avesse fatto emergere elementi sintomatici di collegamenti e contiguità della società Giada Macchine con ambienti appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso». In effetti il titolare, Domenico Savinelli era stato indagato nel maxi processo «Cerberus» teso a far emergere le collusioni del ’ndrangheta con quello imprenditoriale nell’hinterland di Milano, ma era stato subito prosciolto da qualunque accusa. Forte di quell’archiviazione aveva fatto ricorso al Tar per riavere l’appalto. Ricorso che però i giudici amministrativi hanno respinto. «L'informativa della Dia - scrivono i giudici del Tar -si basa su un insieme di circostanze recenti e meno recenti, quali dichiarazioni di pentiti, telefonate in partenza dalla Giada Macchine verso utenze di malavitosi con le quali si chiede la fornitura di servizi di trasporto, la presenza di un pregiudicato per reati di mafia all’interno dell’organico dell'azienda, alcuni colloqui telefonici dal cui complesso si desume una contiguità (anche se non un conclamato sodalizio) del rappresentante legale della Giada Macchine con ambienti della criminalità organizzata; e tanto basta a giustificare la conclusione a cui è giunta la Prefettura in ordine alla sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa relativa all'impresa ricorrente». I difensori della ditta avevano ribattuto che si tratta di elementi non sfociati in indagini penali a carico del titolare o di altri componenti della sua famiglia.
Ed è su questo punto che i giudici non hanno fatto sconti, precisando che «la nozione di tentativo di infiltrazione mafiosa si presenta estremamente sfumata». Infatti «lo scopo dell’informativa non è (solo) quello di precludere l’accesso agli appalti pubblici da parte di imprese facenti parte integrante di sodalizi di tipo criminoso ma di tenere lontani dalle commesse pubbliche tutti quei soggetti che, per aver rapporti di stretta parentela con esponenti della mafia o per intrattenere con essi anche solo rapporti di affari non occasionali, possono subirne i condizionamenti; posto che, in tali ipotesi, le risorse finanziarie destinate alla realizzazione di opere pubbliche possono anche indirettamente foraggiare la sopravvivenza economica di imprese operanti per conto della mafia». Insomma: «L’assoluzione o l’archiviazione non valgano in sé ad escludere la sussistenza di ogni pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa.

Il fatto che un determinato soggetto non sia sodale con un’organizzazione mafiosa non esclude che egli possa intrattenere con i suoi esponenti contatti, anche leciti, tali da generare un pericolo di condizionamento, o, peggio, tali da comportare un travaso delle risorse finanziarie derivanti dalla commessa nelle casse della organizzazione criminale».

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