«Sciopero con stipendio garantito? No grazie. Io martedì sarò in aula come sempre». Il professor Filippo Motta è uno degli ingranaggi inceppati di questa ideale macchina da protesta. Ma, sarà perché insegna linguistica, lui proprio non digerisce lagitazione spacciata per «sospensione didattica».
Professore, non ne farà mica questione di vocaboli?
«La questione è di sostanza: così si impone dautorità a tutti i docenti di partecipare alla protesta, che la condividano o meno. E io non mi faccio imporre come pensare né dal Senato né dal preside».
Però per i colleghi che vogliono contestare è piuttosto comodo...
« E certo. Così si partecipa alleroica lotta contro la Gelmini. Ma lo stipendio resta lo stesso. È come se lamministratore delegato della Fiat decidesse di chiudere la fabbrica per permettere ai metalmeccanici di preparare gli striscioni per una manifestazione. Una situazione quasi umoristica, se proiettata su una qualunque azienda privata o ufficio pubblico. Una barzelletta. Che solo alluniversità diventa realtà».
Ma lei ha fatto presente la sua posizione a colleghi e autorità accademiche?
«Ho scritto a tutti».
Sarà esploso un vespaio.
«Macché. Nessuno ha risposto o dato chiarimenti».
Fanno finta di niente. Fischiettano e intanto vanno avanti per la loro strada senza scomodarsi ad affrontare la questione di principio?
«In pratica sì... Mai avuto contestazioni aperte. Si tratta di un modo di fare molto ipocrita. Ma nelluniversità vige un conformismo estremo. Soprattutto nelle facoltà umanistiche, cè tanta gente che gira con Repubblica sotto il braccio. Ma la mia posizione prescinde dallanalisi del decreto Gelmini. Riguarda il metodo: ma è legittimo, mi chiedo, interrompere così un servizio pubblico?».
E gli studenti?
«La sospensione delle lezioni è stata chiesta proprio da alcuni studenti.
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