Non succede quasi mai al Milan: ieri sì, è la legge dei grandi
numeri. Gioca male e vince l'ultimo Milan, a secco di energie
fisiche e con uno schieramento tattico assai bislacco che non
convince affatto (4-2-3-1 per chi s'intende di tattica) al cospetto
di un Chievo trovato in salute e respinto oltre che da una traversa
anche da un gambone di SanDida, tornato salvatore della patria
rossonera come ai vecchitempi,ormai andati. Non succede quasi mai che il Milan riesca a
«sgraffignare» un successo senza meritarlo fino in fondo,
anzi votandosi a una resistenza discutibile in
difesa e perciò bisogna segnalarlo subito per evitare equivoci. I
motivi sono i più diversi ma qui possiamo riassumerli così: il Milan ha poca benzina nel serbatoio, la svolta tattica decisa da Ancelotti si presta a qualche censura. Si può usare in qualche emergenza, dall'inizio proprio no. Ma il nodo principale resta ancora una volta Clarence Seedorf: si registrano solo fischi nei suoi confronti nonostante il golletto decisivo (come contro il Cagliari). L'utilità è sotto gli occhi di tutti: sei punti sono un bel profitto da mettere sul conto corrente comune della classifica. Ma è la resa a fare acqua da tutte le parti, oltre che lo stato di forma. È un altro Seedorf rispetto a quello pirotecnico del 2007, per esempio ma non si capisce perché Ancelotti lo preferisca a chiunque, a Beckham e Flamini, a Ronaldinho e per ritagliargli un ruolo è disposto a far girare lo schieramento della squadra. È una specie di tic, bisognerebbe indagare.
Da indagare è invece lo stato psichico di Riccardino Kakà che non riesce a firmare una giocata che sia una di gran pregio, si mortifica, si intestardisce e appena perde il controllo emotivo della sua corsa, finisce col «ciccare» dribbling semplicissimi, passaggi da quinta elementare, tiri eseguiti a occhi chiusi in altre circostanze.
Perde la pazienza, per una volta, anche san Carletto Ancelotti, mai espulso nella sua carriera milanista durata otto anni e ieri messo alla porta da Saccani per una protesta appena sopra le righe. Lui e Galliani, in tribuna uno al fianco dell'altro per tutta la ripresa, alla fine hanno cominciato a giocare con la storia dei cambi. «Li facevamo insieme, gli ho detto che non mi piace il 4-4-2 finale» la battuta del dirigente berlusconiano soddisfatto per il risultato oltre che per la classifica, il terzo posto è in tasca ma non è certo il caso di mollare la presa perché alle spalle la concorrenza (Fiorentina) tiene e insegue con accanimento. «Non ha avuto stile british» l'altra battuta di Galliani sul conto di Ancelotti che continua a smentire il trasferimento a Londra. «Io resto, ve lo ripeto» continua a scandire dinanzi a tutte le tv che lo intervistano e questo significa che difficilmente può tornare indietro. «Faremmo rivedere questa intervista» gli ricordano Varriale e Gentili da Saxa Rubra. E lui niente. Dovesse davvero dimostrarsi uomo d'onore, dovrà per il prossimo anno mettersi al lavoro con largo anticipo sulle scadenze canoniche. Per esempio Ambrosini minaccia di cambiare aria («se qualcuno mi cerca, io firmo») mentre Ronaldinho e Shevchenko, con Beckham continuano a fare panchina. E questa volta non c'è da fare esercizio critico per l'inglese o il brasiliano dal codone ma per il francese, Flamini che viene messo da parte proprio per far giocare Ambrosini, poco convincente nel ruolo di attendente di Pirlo, a centrocampo.
Il Chievo paga in un colpo solo tutta la buona sorte avuta in dote nella sfida di una settimana prima a Torino contro la Juve: Pellissier sbaglia a raffica, Luciano si fa male, quando Di Carlo inserisce Colucci, Dida si trasforma nell'uomo ragno, e da terra, seduto, alza un tentacolo per opporsi alla stoccata che può consegnare il giusto e meritato pareggio. È da tempo che il Milan non gioca bene: succede a Napoli, col Lecce e adesso qui a Verona. Coincide con la luna storta di Kakà. E forse è il caso di meditare durante la santa Pasqua.
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