Viola jr: "Così pagammo 100 milioni per andare in finale"

Si sentiva il bisogno di un po' d'aria fresca nel nostro football. Non la vittoria dell'Inter in Champions, nemmeno il prossimo impegno della nazionale di Prandelli. Una storia antica, di ventisette anni fa, la semifinale di coppa dei Campioni tra la Roma e il Dundee United (e non il Dundee che è l'altra squadra della città scozzese). Una storia bastarda, la corruzione di 100 milioni di lire pagati dal presidente Dino Viola per addomesticare l'arbitro francese Vautrot. Riesuma e riassume la vicenda, Riccardo Viola, figlio del presidentissimo, in un'intervista che oggi sarà trasmessa da Mediaset Premium nella rubrica "La Tribù del calcio". Il ricordo non sembra completo e lancia un fastidioso sospetto che al tempo venne chiarito. Riccardo cita l'incontro avvenuto in un ristorante di Roma (era l'Hostaria dell'Orso) tra suo padre, lui stesso,l'arbitro Vautrot, ai quali andrebbe aggiunto il diggì romanista, l'avvocato Raule. A un certo punto Vautrot lasciò la compagnia, il cameriere lo aveva informato che una persona al telefono aveva chiesto di lui. Dopo pochi minuti l'arbitro tornò a tavola e spiegò a Viola che «un amico ha voluto farmi gli auguri, non ho capito chi fosse». Era la parola d'ordine, il segnale della combine.
Riccardo Viola ricorda che suo padre aveva annusato aria di pericolo e che fu lui a denunciare la presenza di una "cupola" che avrebbe danneggiato la Roma. La dazione di denaro ci fu e l'intermediario resta, nella memoria sempre di Riccardo Viola, un certo "Paolo" che sembrava poter essere uno tra Bergamo e Casarin, che, interpellati da Viola, si accusarono a vicenda.
Il racconto televisivo e la memoria del figlio del presidente sono questi, la cronaca del tempo ha dettagli migliori. La Roma, qualificata alla semifinale dopo le vittorie su Goteborg, Cska Sofia e Dinamo Berlino, aveva perso, priva di Falcao, l'andata in Scozia 2 a 0 e vedeva sfumare la magica possibilità di giocare la finale di coppa all'Olimpico (che disputò contro il Liverpool, perdendo ai rigori). Spartaco Landini, manager di mercato e del Genoa, si era detto capace di condizionare l'operato di Vautrot grazie a Gian Paolo (eccolo il "Paolo") Cominato, ex calciatore ed ex dirigente calcistico, amico dell'arbitro francese designato per la partita di ritorno. Il 25 di aprile, la mattina della partita, Spartaco Landini si presentò in casa di Dino Viola e ricevette la somma di cento milioni. La sera, la Roma vinse 3 a 0, con due gol di Pruzzo e un rigore di Di Bartolomei. Nel novembre dello stesso anno Corrado de Biase, giudice sportivo, mandò a processo Cominato (che ammise il millantato credito), Landini e Viola ma nel gennaio dell'Ottantasei la Corte federale sancì la prescrizione del fatto aggiungendo una censura morale al presidente. Nel giugno l'Uefa sospese per un anno la Roma (poi la sanzione fu trasformata in 170 milioni di multa), condannò Viola a 4 anni di squalifica.

A settembre, in sede di giudizio penale, Viola ribaltò la propria posizione: denunciando la "cupola", venne assolto e ottenne la restituzione dei 100 milioni da Landini e Cominato condannati a un anno di reclusione, con la condizionale e il beneficio della non iscrizione. Questi i fatti di una vicenda miserabile.
Ventisette anni dopo, il calcio italiano non sta meglio, in campo e in tribunale.

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