Violante: «Il mio primo cd non porta il cognome Placido»

L’attrice si esibisce a Giffoni e dice: «Mai sfruttato la fama di papà»

Paolo Giordano

nostro inviato a Giffoni

Buongiorno Violante Placido, fa effetto vederla scendere da un palco con la chitarra a tracolla.
«In effetti ho sempre avuto il pudore della musica: non pensavo neppure di potermi permettere di suonare».
E invece ha pubblicato il ciddì Don’t be shy e da mesi tiene concerti in giro per l’Italia: era al Festival di Giffoni, il 30 andrà al Verona Folk e via suonando.
«Il disco è andato bene, i critici l’hanno capito».
Mica poco.
«Insomma sono soddisfatta, anche perché la musica per me è stata un percorso molto lungo e sentito: mica mi sono svegliata una mattina e ho deciso di incidere un album».
In fondo al posto suo nemmeno un kamikaze l’avrebbe fatto così, a cuor leggero: troppo alto il rischio di essere impallinato dalle malelingue. Quando parla, Violante Placido, che lo sapete è la figlia di, è così lieve e pacata da far pensare che le sue canzoni siano, muccinianamente, sofferte e benpensate e finite su disco proprio quando non era più possibile trattenerle nell’animo. E difatti, ascoltandole, hanno il passo che corre dallo stile di Suzanne Vega a quello di Beth Orton, insomma sinuoso e malinconico, capace di non ansimare di rabbia neppure quando addomesticano la disillusa Serve the servant dei Nirvana. Perciò dietro al microfono lei è tutt’altro, non è l’Adelaide di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, oppure la Elena di Ovunque sei. Semplicemente è inattesa, e difatti nessuna malalingua è arrivata a zittirla.
Neppure suo padre?
«No, più che altro è rimasto spiazzato, anche perché nelle mie scelte non l’ho quasi mai consultato».
Ma questo è il ritornello tipico dei figli d’arte.
«Non mi piacciono le persone che si appoggiano a chi ha il potere. In realtà, avrei voluto che mio padre seguisse il mio concerto di Roma, ma non ce l’ha fatta. E quando è venuto a Pescara, una serata più sfigata non poteva sceglierla».
Perché?
«C’è stato persino un blackout».
Eppure proprio a Pescara lei si è avvicinata alla musica.
«In realtà mi sarebbe piaciuto iniziare molto prima, ma non avevo amici che amassero il rock. Quando andai in America a studiare recitazione, ho imparato a suonare la chitarra. E poi a Pescara, insieme a Giulio Corda e Paolo Bucciarelli, ho trovato l’ambiente giusto».
Sul palco del Giffoni ha persino duettato con Pupo nella Canzone del Sole di Battisti.
«E mi sono pure divertita da matti. A casa mia, quand’ero piccola, si ascoltavano Dalla o De Gregori. Da ragazzina ho scoperto Battisti e mi piace ancora così tanto che in concerto canto la sua Confusione».
Però adesso torna a recitare.
«Ad agosto sarò all’estero per un film. Ma ci sono altri titoli pronti a uscire: La cena per farli conoscere di Pupi Avati, ad esempio, dovrebbe arrivare in sala a fine anno oppure a inizio 2007. Poi c’è Il giorno più bello di Massimo Cappelli. E ho anche fatto una piccola parte nella Dissolvenza al nero di Davide Ferrario».
Quindi la musica è stata una parentesi.
«Chissà. Intanto a settembre uscirà un duetto che ho realizzato con un giovane cantautore italiano. Poi vedremo».
Magari il Festival di Sanremo?
«Per me non avrebbe senso: mi sentirei un pesce fuor d’acqua».
Carla Bruni invece non si fece problemi.
«Ho ascoltato il suo disco e mi è piaciuto molto: le sue canzoni, la sua interpretazione mi arrivano proprio al cuore. Io sono fatta così, cerco sempre le emozioni».
Però qualcuno l’ha accusata di essere una raccomandata. Dopo l’inchiesta della procura di Potenza, Maria Monsè ha detto che lei le avrebbe soffiato il posto di conduttrice del preserale Go Cart su Raidue.
«Pensi che quando sono uscite le prime intercettazioni provavo tenerezza: mi dispiaceva che scrivessero cose così pesanti senza certezze».
Poi è stata tirata in ballo.
«E ci sono rimasta molto male. Troppo facile. Non fosse che per il mio orgoglio, non mi sono mai appoggiata al cognome di mio padre. In realtà, come tutti, avevo fatto provini in Rai.

Quando mi chiamarono, da quel che so io, il programma Go Cart era già in crisi. Altro che raccomandazione: avevo 19 anni, mi è capitata quell’occasione e là mi sono messa alla prova».
Bilancio finale?
«Mi sembra che questi problemi interessino molto di più la televisione che il cinema».

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