Violante, ultima comparsa nella saga dei Ds pentiti

Ma esiste ancora un «ultimo dei mohicani» che non si penta? Al contrario dei resistenti pellerossa, l’Italia registra la «saga dei pentiti» nel grande campo, sconfinato, del post-comunismo. Il 13 aprile uscirà in libreria, con i soliti strombazzamenti, il saggio di Luciano Violante Uncorrect-Dieci passi per evitare il fallimento del Partito democratico, dove si spiegherà che il Pds ha sbagliato su Bettino Craxi e ha sbagliato sul criminalizzare tutto il vecchio Psi. Che ormai non c’è più. Un consiglio a tutti i lettori: non leggete quel libro, perché è un copione che sta andando di moda, in maniera sfrenata, che sta girando e che ormai conoscono tutti. Prendiamo solo alcuni «passaggi» dell’attentissimo Corriere della Sera, il nuovo «vescovado del pentimento»: «Craxi non si può ricordare solo come uomo di Stato o solo latitante. Craxi fece del Psi la punta di diamante di un progetto di rinnovamento». Violante incalza: «Il Pds non distinse la responsabilità politica del Psi, dai militanti e dalla stessa idea di socialismo, concorrendo a criminalizzare l’intero partito».
Non c’è dubbio (a quanto pare) che a scrivere queste cose sia proprio Luciano Violante, ex magistrato che indagò su Edgardo Sogno, che fu la «punta di diamante» del giustizialismo di sinistra, l'integerrimo difensore della non-separazione tra le carriere di pubblico ministero e di giudice, il presidente della Commissione Antimafia che lasciò perplesso (eufemismo) persino un suo compagno di partito come Gerardo Chiaromonte, il formidabile e micidiale «pm» che il grande presidente Francesco Cossiga chiamava affettuosamente (eufemismo) il «nostro Vyshinskij», il personaggio politico che infiammò le platee politiche e mediatiche sul «caso Andreotti». Adesso, che sono tutti morti, massacrati, emarginati, il «nostro», che deve battersi per un Partito democratico degno di «Don Lurio», ha riscoperto gli errori fatali.
In questi anni lo hanno fatto tutti: Massimo D’Alema, Piero Fassino, un poco anche Achille Occhetto, fino a far venire scatti di nervi agli intransigenti «puri e duri» come Giorgio Bocca, Marco Travaglio, Curzio Maltese, sempre fermi alla loro «visione da pretura» della storia. Questi ultimi ci indignano di meno. Sono testoni, ma non ipocriti come questa «falange di pentiti» postcomunisti che, dopo aver fatto di tutto e di più (ai Festival dell’Unità, gridavano: «Chi non salta, è socialista»), oggi vestono il «saio del pentimento», ricordano tempi in cui «non capivano». Per la verità sono circa 80 anni che non capiscono o che hanno sempre capito «dopo». Ma in fondo comprendere è accogliere, cosa difficile per la tradizione comunista. Infatti, fatto incredibile, nessuno di questi pentiti aggiunge il semplice «ho sbagliato». Il dramma è però che, in più, tutti questi «pentiti» hanno fatto memorabili e decisivi danni al Paese.
È vero anche che, di questi tempi, non c’è più da stupirsi di nulla. Qualche giorno fa Piero Fassino, forse per riequilibrare alcune «sbandate talebane», si era addirittura permesso di dire che ai tempi del «caso Moro» forse «era meglio trattare». Cioè, quello che aveva suggerito Craxi e per questo fu quasi linciato. Poi è arrivato anche l’uomo che «sognava la luna» Pietro Ingrao, che lo ha ribadito solennemente. Ma che peccato, che siano passati 29 anni! Forse pensano che non se ne sia accorto nessuno.

Per favore, non leggete il libro di quest’ultimo «falso pentito».

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