Violenza sessuale, buonsenso e «retaggi fascisti»

Una discussione furibonda, caro Granzotto. Per poco non ci si prendeva per i capelli e i nostri mariti a pugni. L’argomento, nato e sviluppatosi per caso era quello della violenza sulle donne. Nella nostra città una ragazza sui venticinque anni che faceva jogging alle undici di sera in un viale del periferico quartiere residenziale l’aveva scampata per il rotto della cuffia grazie all’arrivo di una coppia di residenti che puntando i fari e suonando il clacson erano riusciti a mettere in fuga un tipaccio che l’aveva già buttata a terra. Dimenticavo: la ragazza indossava un paio di short elasticizzati e un top che le lasciava scoperta la pancia. Naturalmente deprecando l’accaduto obiettai che se una bella ragazza va a correre di notte, in un viale isolato e in tenuta succinta, certe cose se le va a cercare. Apriti cielo! Spalleggiata dal marito, la mia amica, una madre di famiglia, mi ha investito dicendomi che certe cose non le dovevo neanche pensare, che una ragazza bella o brutta ha il diritto di fare jogging dove e quando vuole e il diritto di vestirsi come vuole, che il precisare che la ragazza era avvenente è segno di sessismo e che il solo pensare che gli stupri possano essere colpa dell’aspetto, del comportamento e dei vestiti indossati dalla vittima è un retaggio della cultura fascista.

Al riferimento al fascismo il mio compagno non ci ha visto più e ha cominciato ad alzare la voce e una piacevole conversazione di fine cena si è trasformata in un violento alterco. Siamo vecchi amici e faremo pace, però, secondo lei che stimiamo per la sua cultura e il suo buon senso, chi aveva ragione?

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