Cronaca locale

Il violino cosmopolita di Hope

Più internazionale di così non si può. Daniel Hope, il violinista trentenne che stasera (ore 20.30, Conservatorio), in coppia con il pianista Sebastian Knauer, debutta per il Quartetto, viaggia con passaporto irlandese. Ma è nato in Sudafrica ed è cresciuto in Inghilterra. Il padre è irlandese e la mamma tedesca. Ora vive in Olanda. Hope è dunque un perfetto cittadino del mondo, anche se il cuore – ammette - va all’Irlanda, alle sue melodie incantate e imbevute della melanconia del piovoso Nord. Da cittadino del mondo sta bene ovunque, così come accade che abiti con simile disinvoltura i territori musicali per cui dal 2002 è diventato membro del venerato e classicissimo Trio Beaux Arts, allo stesso tempo – se capita – sposa la causa filologica degli strumenti d’epoca. Il violinista è quindi andato oltre la staccionata della classica frequentando il jazz e le ragas indiane. E ciò ai massimi livelli come testimoniano le collaborazioni con Uri Caine, o con il vocalist Bobby McFerrin o il progetto East meets West, edito dalla Warner, con opere per violino ispirate a Ravi Shankar. Insomma, amor sacro e amor profano vanno a braccetto sulla tastiera del violino di Hope. Che, a suo modo, o meglio per interposta persona, non disdice il teatro. La collaborazione con Klaus Maria Brandauer ha portato allo spettacolo War and Pieces; per Mia Farrow ha scritto un testo sulla vita di Beethoven. Quella di Hope, come tutte le vite che lasciano un segno, a sua volta è segnata da incontri determinanti. Uno su tutti: quello con un asso del violino come Menuhin. Accadde che la mamma del prode Daniel a un certo punto diventasse la pr di Menuhin, che a sua volta iniziò a considerare i Hope come una sorta di famiglia allargata. Di fatto Daniel Hope ha poi percorso altre strade didattiche, studiando con Zakhar Bron alla Royal Academy of Music di Londra. Però di Menuhin, Daniel Hope ha raccolto eredità musicale e pure il violino: un Antonio Gagliano 1769. Alla radice di questa bella personalità dinamica, aperta e spregiudicata, si muove una storia da film che Hope ha deciso di raccontare in libro. La casa di Berlino dei nonni materni, industriali ebrei di successo, venne confiscata dai nazisti che ne fecero un luogo di massima segretezza, per la precisione un centro di crittografia. Fu a quel punto che la nonna riparò in Sudafrica avviando una fattoria. Una storia che certo ha mosso la decisione di Hope di studiare e mettere in repertorio i compositori zittiti dal regime. Un repertorio in realtà vasto e sfaccettato.

Stasera parlerà l’Ottocento di Beethoven e, Mendelssohn, e il Novecento nordico di Grieg.

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